Ci sono certi cani che ti entrano nel cuore come una freccia scoccata da un arco ed uno di questi è stato proprio Tyson.
La storia di questo giovane cane non è a lieto fine ma voglio raccontarla perchè mi ha lasciato l‘amaro in bocca.
Tyson
Durante il periodo natalizio arrivò in ambulatorio uno scricciolo di cane, maschio, nero come il carbone, con due occhi bellissimi accompagnato da una altrettanto bella famiglia letteralmente innamorata di lui.
Era il loro primo cucciolo ed, in quanto tale, diedi loro tutte le classiche spiegazioni: cosa dargli da mangiare, qualche piccola regola di educazione ed il piano sanitario che avremmo iniziato.
Tyson cresceva a vista d’occhio e sicuramente non era un cane di piccola taglia come i proprietari pensavano.
Dopo circa due mesi, finito il primo piano vaccinale, però non vidi più il piccolo Tyson.
Capita che i proprietari decidano di limitarsi alle prime vaccinazioni o di farsi seguire da altri colleghi e quindi non pensai più al piccolo.
Era passata da poco la Santa Pasqua quando in ambulatorio arrivò una giovane signora con la figlia che portavano con sè un cucciolotto ridotto ad uno scheletro.
Ebbi difficoltà a riconoscerlo proprio perchè era notevolmente emaciato.
Iniziarono a raccontarmi che da qualche giorno prima di Pasqua il cagnolino iniziava ad essere inappetente e che spesso presentava episodi di vomito.
Avevano cambiato diverse qualità di crocchette pensando che si trattasse solo di un capriccio del piccolo e, su suggerimento di un veterinario, avevano iniziato una cura antibiotica pensando ad un possibile mal di gola.
Ma il piccolo non migliorava affatto, aveva sempre la temperatura corporea a 40°C e continuava a perdere peso, ben 8 Kg in poco più di due settimane.
Era necessario indagare più a fondo.
Il mio primo pensiero, considerata la giovane età del cucciolo e le vacanze pasquali trascorse, durante le quali le tavole sono arricchite da cibo come capretti, pizze rustiche e cioccolata, era la presenza di un corpo estraneo bloccato in qualche tratto dell’apparato gastroenterico e che causava questo malessere e inappetenza.
Decidemmo di fare una ecografia addominale e, nell’attesa dell’arrivo della collega ecografista, di intraprendere una terapia di sostegno con fluidi endovena e protettori per lo stomaco.
Finalmente arrivò la collega Antonella con il suo enorme ecografo e subito iniziammo a preparare il piccolo tosandogli la pancia.
Tyson era palesemente “preoccupato” perchè era manipolato da tante persone.
Nel preciso momento in cui Antonella poggiò la sua sonda sul pancino del cucciolo il suo viso cambiò espressione.
Con gli occhi sgranati e praticamente incredula ci spiegò che il fegato del piccolo era ricoperto da numerosi ascessi ed uno in particolare, piuttosto grande, premeva sulla parete dello stomaco causandogli quella sintomatologia.
Era stupita perchè una situazione del genere difficilmente la si osservava in un cane di soli 4 mesi.
Spiegai al proprietario che la situazione era grave, la prognosi riservata e che sarebbe stato meglio trovare un corpo estraneo perchè con un intervento chirurgico potevamo risolvere immediatamente il problema.
Iniziammo comunque una terapia più completa con due tipi di antibiotici, flebo ed integratori, nella speranza di far ridurre il volume degli ascessi e che, dopo che il piccolo fosse clinicamente migliorato e fosse ancora necessario, poter rimuovere gli ascessi chirurgicamente.
Un ulteriore consiglio fu quello di far mangiare poco e più volte al giorno Tyson con una pappa somministrabile con una siringa per evitare che il suo stomaco si riempisse troppo di cibo ed andasse a premere sul grosso ascesso.
Dopo una settimana di terapia finalmente la febbre passò ed il piccolo diventò più attivo e con molto più appetito.
Tutti noi eravamo convinti che il peggio fosse passato ed avevamo programmato per la settimana successiva un’ ecografia di controllo ed un prelievo di sangue.
La nostra gioia durò relativamente poco.
Il “papà” di Tyson ci telefonò per dirci che il piccolo non voleva più mangiare né camminare.
Decidemmo di anticipare le indagini.
Antonella fu chiamata con urgenza.
Erano le 11 del mattino quando la nostra ecografista, appoggiando nuovamente la sonda sulla pancia del piccolo, ci disse che la situazione era nettamente peggiorata.
Il piccolo Tyson aveva del versamento ematico nell’addome, era presente una peritonite e i due ascessi più grossi si erano rotti.
Tyson era immobile su di un fianco con le mucose di un colore misto tra il bianco porcellana ed il giallo ittero, respirava con difficoltà ed aveva un’espressione impaurita.
Con le poche forze che aveva ogni volta che sentiva la voce delle sue “mamme” scodinzolava flebilmente la coda come a dirci che era comunque presente.
Secondo l’ecografista e la mia collega Laura non c’era molto da fare e bisognava “addormentarlo”.
Io non riuscivo proprio a pensare a questa ipotesi.
Non accettavo l’idea di addormentare per sempre un cucciolo senza nemmeno tentare l’impossibile.
Con le lacrime agli occhi ed il consenso del proprietario decidemmo di fare prima una trasfusione di sangue e poi il tentativo di intervento per asportare i lobi epatici danneggiati.
Immediatamente telefonammo ad un’amica cliente la cui cagnolona, un labrador di nome Desy, avrebbe potuto fare da donatore.
Loredana, la “mamma” di Desy, dopo averle raccontato tutto, abbandonò letteralmente il suo posto di lavoro e si precipitò subito in ambulatorio.
Con Desy ottenemmo una sacca da 350 millilitri di sangue che, a goccia lenta, furono somministrati a Tyson.
Quel giorno in ambulatorio ci fu un via vai di clienti, tutti interessati alla sorte del piccino: tutti che avevano riposto fiducia in me per questa difficile chirurgia.
Il problema però non era solo il tipo di intervento, di per se già molto complicato, ma le condizioni cliniche del paziente, che rischiava di morire da un momento all’altro sia durante che subito dopo la chirurgia.
Lo staff era al completo: Laura come aiuto chirurgo, Ivana come anestesista, Enzo e Renato come infermieri.
Ci voleva solo un miracolo.
Entrammo in sala operatoria alle 15.30.
Stabilizzato anestesiologicamente il giovane paziente incisi la pelle.
Era talmente magro che non c’era un filo di grasso sottocutaneo ma a ridosso della pelle c’era subito lo strato muscolare.
Inciso questo strato uscì a fiotto una quantità esagerata di versamento ematico.
Con l’aspiratore chirurgico ne prelevai quasi mezzo litro.
Svuotata la pancia aprii ancora meglio l’addome per visualizzare il suo fegato.
Era una cosa impressionante. Non avevo mai visto niente del genere se non in cani anziani con tumori epatici.
Della normale struttura epatica era rimasto ben poco ed effettivamente i due grossi ascessi presentavano diverse lacerazioni dalle quali perdeva sangue.
Decisi di togliere interamente i lobi epatici sui quali c’erano gli ascessi più grandi e lasciare in sede gli altri due lobi più piccoli ed anche più normali.
L’intervento fu lungo e difficile.
Il fegato ha una particolarità, è molto friabile e perciò è molto più difficile suturarlo rispetto a qualsiasi altro organo del corpo.
Ad ogni passaggio di ago c’era una perdita di sangue.
Tolta quindi gran parte del fegato e lavato abbondantemente l’addome per ridurre l’infezione presente in cavità, chiusi la parete addominale e risvegliammo il piccolo Tyson.
Nonostante le tre ore di intervento e la bruttissima condizione di salute il piccolo si risvegliò dall’anestesia.
Già increduli per questa vittoria continuai a sottolineare al proprietario che la prognosi era riservatissima.
Decidemmo di ricoverare il piccolo per tenerlo in osservazione e continuare la sua terapia di sostegno con analoghi del sangue, visto che ne aveva perso molto durante l’intervento, albumine e fluidi idratanti, tutto nelle opportune dosi.
Ovviamente quella notte non chiusi occhio.
Alle 3 del mattino, Ivana, la collega che lo stava vegliando, mi mandò un messaggio per informarmi che era vivo e si lamentava per il dolore.
Alle 8.30 del mattino era ancora vivo e riprendeva la sua terapia.
Ma purtroppo dopo qualche ora, ancora più debole, il piccolo Tyson, era letteralmente stremato ed in coma.
Alle 13.30, con tanta tristezza, si decise di porre fine alla sofferenza del piccolo eroe.
Anche se sapevo di aver fatto tutto ciò che potevo, mi sentivo malissimo e non riuscivo a non pensare a lui.
Non avevo parole per rincuorare me stessa nè tanto meno il proprietario e perciò mi limitai ad inviargli un messaggino di condoglianze.
Il giorno dopo fu lui però a mandarmi un bellissimo messaggio che voglio riportare:
“Carissima Imma, siamo qui riuniti nella stanza dove c’era anche Tyson. Volevamo ringraziarti per l’affetto che hai dimostrato per il nostro piccolo e sappiamo che hai fatto il possibile per far ritornare la felicità nei nostri cuori. Non preoccuparti, ci sei comunque riuscita, perchè solo una professionista come te poteva trattare il piccolo come hai fatto tu. Per questo te ne siamo grati e sappiamo che TYSON da lassù ti ricorderà con affetto e amore; quello che hai dato tu a lui. Grazie, grazie ancora, ci vediamo presto.
Un abbraccio da tutti noi Massi, Diana e Estefany.”
Questo messaggio mi riempì di gioia ed un pò placò il mio magone.
Ho voluto scrivere questa storia come omaggio a Tyson, un piccolo cane che, come il leggendario pugile di cui porta il nome, ha lottato con energia tutti i suoi round fino al KO finale e per ringraziare pubblicamente i suoi “genitori” per l’amore e l’impegno, anche economico, che hanno dimostrato per tentare in ogni modo di salvare la vita al loro cucciolo.
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