Editoriale. Il dolore negli animali e l’elaborazione del lutto.

Commovente: un’orca ha continuato a nuotare per due giorni tenendo fuori dall’acqua il suo baby morto poco dopo la nascita, non riuscendo a staccarsi definitivamente da esso, lasciandolo andare a fondo…

L’orca della specie J35 di cui parlo in questo articolo, mentre cerca di tenere in superficie il corpo del suo baby appena morto. Andrà avanti per ben due giorni a nuotare provando a mantenerlo a galla, una specie di tentativo di rianimazione e di elaborazione del lutto, non riuscendo a separarsi definitivamente da esso. FOTO: DAVE ELLIFRIT & KEN BALCOMB, CENTER FOR WHALE RESEARCH

Più volte nel mio editoriale ho parlato dell’amore materno negli animali, a cominciare da quello di mamma polipo che si sfinisce di fatica sino a morire pur di mantenere in vita i suoi piccoli appena nati. Oggi vi parlo di un episodio altrettanto commovente ed eccezionale, avvenuto lo scorso 24 luglio: si tratta di un’orca marina che è stata seguita lungo la costa canadese Victoria, nell’Oceano Pacifico, dall’organizzazione americana per la difesa delle balene Center for Whale Research.

Dopo il parto purtroppo il suo cucciolo è vissuto soltanto 45 minuti. Ma mamma orca non è riuscita a separarsene subito; anzi, ha cercato in tutti i modi di rianimarlo spingendolo con il muso in modo da mantenerlo sulla superficie dell’acqua, così da non farlo cadere dentro e affondare. Tutto questo per due giorni interi. Instancabilmente, senza avere la forza di lasciarlo andare.

Un bellissimo esemplare di orca. I figli delle orche sono noti per rimanere insieme alle madri anche dopo aver raggiunto l’età adulta. Esse li aiutano nella ricerca del partner, per assicurarsi di avere una discendenza. Vivono dai 30 ai 50 anni. Emettono vari tipi di suoni per comunicare tra loro: si tratta di fischi e grida usati a seconda delle diverse circostanze. Ogni pod ha un suo suono distintivo che viene tramandato di generazione in generazione, per un massimo 6 generazioni.

Ho letto questa storia in un articolo del giornalista olandese Koen Van de Sype, del quotidiano AD, nel cui sito è stato anche postato un video girato dai ricercatori che hanno seguito la madre nella sua fase di elaborazione del lutto. Cliccate su questo link per vederlo.

Pensate che era la prima nascita dopo 3 anni che avveniva nel gruppo di orche, e, se si considera che la gestazione di questi mammiferi acquatici dura 18 mesi, potete capire il dolore nel vederlo morire. Un abitante dell’isola dice di aver avvistato un gruppo di 5 o 6 orche, tutte femmine (esse sono più piccole dei maschi) che al tramonto compivano dei piccoli cerchi, rimanendo a nuotare in superficie per circa due ore.

Più diventava buio più le femmine di orca proseguivano nel loro rituale, in attesa della luna, apparsa la quale si fermavano un attimo accarezzate dalla sua luce argentea, spostandosi appena essa si spostava, per non restare nell’ombra. A fatica riusciva a vedere nel mezzo del circolo la madre che aveva perso il suo cucciolo, che comunque gli pareva che continuasse, appena la testa del piccolino finiva sott’acqua, a spingerla in alto con il suo muso. Una scena toccante, commovente.

L’orca, un mammifero marino appartenente alla famiglia dei delfinidi, è diffusa in tutti i mari e gli oceani del mondo e vive sia negli abissi che nei bassifondi vicino alle coste, arrivando a volte persino fino alle foci di alcuni fiumi. Le orche hanno un legame familiare molto stretto e sono animali sociali, curiosi, addomesticabili. Stanno in gruppi, formati dalla femmina, dai piccoli, da femmine anziane sterili e da un maschio adulto.

“Non è la prima volta che accade una cosa del genere”, ha raccontato uno dei ricercatori, il biologo Robin Baird, al The Seattle Times, “avvenne anche nel 2010. La particolarità è che per questa madre il processo di elaborazione del lutto è durato a lungo. Le altre orche infatti dopo un po’ ricominciano a nuotare in gruppo. Questa volta lei non le ha seguite, non sopportando di lasciarlo andare a fondo, quasi in un ultimo disperato tentativo di rianimarlo. E’andata avanti a nuotare lentamente, disperatamente. Per due giorni interi. Ci siamo accorti che il baby era morto da poche ore perchè si notava ancora il cordone ombelicale.”

“Questo tipo di orca, chiamato J35, è un mammifero a rischio di estinzione”, ha dichiarato la professoressa Deborah Giles, ricercatrice dell’ università di Washington a Seattle, “per mancanza di cibo e per le sostanze velenose inquinanti rilasciate dalle navi nell’acqua. Per questo hanno problemi per riprodursi; in passato i vari gruppi di femmine mettevano al mondo da 6 a 9 piccoli all’anno. Mi chiedo se le persone capiscono la gravità del problema!”

Ce lo chiediamo tutti, spaventati da quanto sta accadendo su questa nostra terra tanto bella, che piano piano stiamo distruggendo. Forse dovremmo ricordarci spesso del dolore di mamma orca con il suo neonato morto che ha cercato di tenere per giorni fuori dall’acqua, per farlo respirare, anche se non respirava più… Incapace di staccarsi da esso, dopo tre anni che lo aveva aspettato e 18 mesi già amato e protetto nel suo ventre.

Maria Cristina Giongo
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