Villaggio Dogon
Il mio secondo viaggio africano, nell’inverno 1980, è stato quello che mi ha fatto conoscere una delle più antiche e misteriose popolazioni africane: i Dogon.
Essi divennero noti grazie alla pubblicazione, nel 1948, di un saggio ad opera dell’etnologo Marcel Griaule: Dieu d’eau, entretiens avec Ogotemmêli.
Il ricercatore entrò in contatto con i Dogon durante la spedizione scientifica Dakar-Gibuti (1931-1933) che attraversò, da ovest a est, l’Africa settentrionale.
Egli, assieme all’antropologa Germaine Dieterlen e ad altri collaboratori, effettuò, in seguito, numerose spedizioni scientifiche con un’interruzione durante la Seconda guerra mondiale.
Dieu d’eau è scritto in stile romanzato per venire incontro al pubblico non specializzato e consiste in un diario dei 33 giorni che passò con un vecchio cacciatore cieco Ogotemmêli che lo ha erudito sui miti e la cosmogonia Dogon.
«Un cacciatore vuole vederti» è il messaggio che il cacciatore fece recapitare a Griaule nel 1946 e che segnò l’inizio del loro rapporto.
Griaule frequentava i Dogon già da 15 anni, ma solo allora fu probabilmente ritenuto degno di apprendere i loro segreti.
Il merito delle sue ricerche è quello di aver rivelato che i Dogon hanno una visione metafisica, sono capaci di elaborare pensieri filosofici e possiedono conoscenze astronomiche.
Questa etnia del Mali abita le pendici della falesia Bandiagara, alta alcune centinaia di metri e lunga circa 150 chilometri.
Essi vi arrivarono nel XIV secolo e trovarono la falesia abitata da una popolazione di individui di bassa statura, chiamati Tellem i quali vivevano in villaggi abbarbicati sulla falesia in incavi delle rocce che raggiungevano, forse, tramite corde. All’arrivo dei Dogon i Tellem si spostarono e, probabilmente, le due etnie in parte si fusero.
Le grotte furono utilizzate come rifugi per sfuggire agli schiavisti e per seppellire i morti.
Antiche abitazioni nelle grotte
Visitai un villaggio Dogon nel dicembre 1980 durante un viaggio turistico nell’Africa settentrionale.
Per arrivare al villaggio camminammo a lungo accompagnati da una guida locale fino all’insediamento che era addossato alla falesia; vi erano anche costruzioni negli anfratti e grotte della falesia.
Vi erano pochi abitanti in quanto la maggior parte era occupata ad accudire il bestiame o nel lavoro nei campi.
La guida ci spiegò sommariamente lo stile di vita e la spiritualità dei Dogon. Troppo sommariamente per capire ma abbastanza da suscitare la mia curiosità.
In seguito, riuscii, a procurarmi un’edizione del 1966 di Dieu d’eau che ho letto con interesse.
La planimetria del villaggio ricalca il corpo umano. Esso è orientato da nord a sud con a nord la testa costituita dal Togu na, una tettoia sostenuta da 8 pali e ricoperta da strati di vegetali. Sotto di esso avvengono le riunioni del consiglio. Un po’ più a nord vi è la fucina.
Togu na
Al centro, il petto, sorgono le abitazioni famigliari; a destra e sinistra (mani) le capanne per le donne mestruate. Al di sotto delle case famigliari le macine sono disposte a guisa di sesso femminile, mentre più distanziato l’altare rappresenta l’organo sessuale maschile. Altri altari, a sud, sono i piedi.
Gli edifici, in genere cubici, sono costruiti con pietre e argilla; le porte delle case e dei granai, sono incise con raffigurazioni che rappresentano la mitologia e cosmogonia dei Dogon.
Purtroppo, negli anni, collezionisti e mercanti hanno depredato i villaggi portandosi via, per pochi denari, porte di rara bellezza vendute poi a caro prezzo.
I Dogon sono degli abili creatori di statue e maschere con valore simbolico.
Griaule e Dieterlen vennero a conoscenza di una visione mistica e metafisica allora impensabile per una popolazione priva di conoscenze tecnologiche.
Sono animisti e credono in un unico Dio creatore (Ammo) che, con la sposa Terra diede vita al genere umano. Tutti i loro gesti e attività quotidiane, sembrarono, a Griaule, dettati dalla cosmologia.
Ma sono soprattutto le conoscenze astronomiche che l’impressionarono. Tramite Ogotemmêli egli scoprì che i Dogon conoscevano l’universo, la luna; sapevano che i pianeti ruotavano attorno al sole e che Giove ha quattro lune. Conoscevano Sirio e, quando essa si trova in un punto preciso (ogni sessant’anni), celebrano una festa. Ci sono anche altre due stelle: Sirio B (fotografata nel 1970) e Sirio C di cui si ipotizzò l’esistenza tramite calcoli matematici più di vent’anni fa.
Gli antropologi moderni, però, sono critici nei confronti delle scoperte di Griaule. Infatti, si ritiene troppo precisa ed elaborata la cosmologia dei Dogon. Si pensa che esploratori passati per i villaggi Dogon avessero fornito informazioni ai saggi locali o Griaule stesso abbia inconsapevolmente fornito informazioni che potrebbero essere state rielaborate da Ogotemmêli.
I critici si chiedono, inoltre, perché intervistare solo un saggio?
Ovviamente vi sono anche fantasiose ipotesi di incontri con extraterrestri.
Resta il fatto che la complessità delle conoscenze astronomiche dei Dogon non può essere liquidata semplicemente come un artefatto.
Griaule prevale l’idea che
mondo mitico e cosmologia costituiscano un complesso di idee del tutto autonomo e che la vita sociale
discenda da quello che gli attori sociali interpretano di quel complesso di idee. Oggi si parla di “iniziazione
di Griaule” poiché non sappiamo se egli ha finito per scrivere quello che i Dogon volevano che lui scrivesse.
In Griaule prevale l’idea che
mondo mitico e cosmologia costituiscano un complesso di idee del tutto autonomo e che la vita sociale
discenda da quello che gli attori sociali interpretano di quel complesso di idee. Oggi si parla di “iniziazione
di Griaule” poiché non sappiamo se egli ha finito per scrivere quello che i Dogon volevano che lui scrivesse.
In Griaule prevale l’idea che
mondo mitico e cosmologia costituiscano un complesso di idee del tutto autonomo e che la vita sociale
discenda da quello che gli attori sociali interpretano di quel complesso di idee. Oggi si parla di “iniziazione
di Griaule” poiché non sappiamo se egli ha finito per scrivere quello che i Dogon volevano che lui scrivesse.
Dal 1989 il territorio Dogon è patrimonio dell’umanità
Testo e foto di Mauro Almaviva
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Tags: Africa, Dogon, mauro almaviva