Il segreto di Giovanni Allevi: la musica e’ la mia preghiera

Giovanni Allevi

Giovanni Allevi

Giovanni Allevi non ha mai nascosto di essere un credente. Anzi, molte delle sue composizioni musicali evocano proprio un’atmosfera mistica, di serena preghiera, di tensione verso qualcosa che non si vede, ma che è presente.
“La musica è proprio una porta d’ingresso sul mondo dello spirito”, dice il musicista. “D’altra parte questa è la condizione dell’artista: vivere ad un passo dalla trascendenza, sfiorare una realtà invisibile, misteriosa, che ci ricorda che siamo schegge di Paradiso cadute sulla terra e che lassù dobbiamo tornare.”

Giovanni Allevi. Amato, contestato, comunque un fenomeno.

Marchigiano, 44 anni, Allevi è famoso in tutto il pianeta per la sua musica e le sue performances al pianoforte. Lo incontro nel suo studio milanese e a colpirmi non è la sua folta capigliatura ormai leggendaria o il suo look da rock star alternativa. Rimangono impressi invece i suoi gesti gentili, pacati e misurati. E la serenità con cui risponde alle domande su un tema delicato come quello della religione.

“E’ un argomento importante, che mi dà gioia”, continua. “Di proposito non ho voluto prepararmi per l’intervista così che le parole escano fuori liberamente, in modo naturale.”

Quale è il suo rapporto con la fede?
“Sembrerà scontato, ma devo dire che è strettamente legato alla musica. La fede, l’avevo quasi persa ed è stata la musica a farmi tornare sui miei passi. Da bambino ho avuto un’educazione religiosa molto ferrea, per certi versi quasi eccessiva. E come spesso accade in questi casi, ho reagito andando nella direzione opposta. Ho cominciato ad allontanarmi dalla fede nell’adolescenza e poi soprattutto all’università, quando mi sono messo a studiare filosofia. Più che la fede in sé, ero critico nei confronti della religione, della sua esteriorità cioè del rito. Ma come ho detto, poi la musica mi ha fatto cambiare idea perché mi ha fatto capire quanto invece la ritualità sia importante.”

La musica è fatta di ritualità…….
“Esatto. Suonare il pianoforte, dirigere un’orchestra, affrontare un concerto sono azioni che comportano una precisa ritualità. E’ una serie continua di gesti ripetitivi, anche compulsivi a volte, che hanno un fine: permettono alla mente di liberarsi dei limiti terreni per afferrare un lembo di spiritualità. Ecco, capire questo, amarlo, mi ha fatto tornare ad amare la preghiera. Perché la stessa cosa vale per la religione, per la ritualità delle funzioni ad esempio. Ecco perchè per me suonare il pianoforte è un gesto sacro, è un po’ come pregare.”

Per che cosa dobbiamo pregare?
“Beh, penso che prima di tutto si debba intendere la preghiera come un abbandono ad una volontà superiore. E poi, sì, dobbiamo chiedere aiuto. Siamo esseri umani, cadiamo facilmente nell’errore. E ogni giorno affrontiamo prove di difficoltà e dolore: abbiamo per forza bisogna di aiuto. Ma credo anche che la preghiera più onesta che possiamo fare sia quella di chiedere la forza di accettare, nel bene e nel male, tutto quanto ci accade. E di fidarci, proprio come faceva San Francesco.”

Nella musica, nel magico silenzio interrotto dalle note che si spandono nell’aria e poi ci raggiungono toccandoci l’ anima una ad una, anche lì c’è Dio.

Perché San Francesco?
“Ho una grande venerazione per lui. Sono stato sempre molto affascinato dalla sua figura, dal suo ritorno all’essenzialità e soprattutto dal suo stupore incantato di fronte al mondo, alla natura e all’esistenza. San Francesco raccomandava sempre ai suoi confratelli di non coltivare tutto l’orto ma di lasciare una parte incolta perchè i fiori potessero crescere liberamente. E’ un concetto meraviglioso, entusiasmante, dirompente. Per l’attività che faccio, sono inserito in un turbine di pressioni e aspettative davvero enorme. Divento allora facilmente vittima di ansia e panico. Però, la frase di San Francesco mi aiuta. Quel lasciare incolta una parte dell’orto, lo intendo come “lasciare che le cose accadano” e allora, nel momento dell’ansia, mi abbandono agli eventi senza la presunzione di poter controllare tutto. Perchè nulla ci appartiene veramente.”

Pensa che un artista abbia il dovere di divulgare un messaggio che porti verso l’alto?
“Assolutamente sì. Un musicista ha il dovere di gridare che dietro le nuvole c’è sempre il sole. Quella è la meta. Io sento molto profondamente il dovere di tendere con tutto me stesso verso quel sole, verso quella luce che ci attende tutti. Molta gente mi confessa di aver pregato con la mia musica e saperlo mi commuove. A volte, scopro che il pubblico riesce a vivere la mia musica con un’intensità maggiore della mia. Ecco perchè, secondo me, l’opera d’arte si realizza negli altri. Di tutto questo mi accorgo dopo i concerti, quando rimango ore ed ore a parlare con il pubblico. E’ un momento bellissimo e prezioso. Un momento che mi arricchisce. Parlo con la gente, la guardo direttamente negli occhi. E’ un’esperienza che raramente facciamo nella vita di tutti i giorni: non ci sogneremmo mai di conversare con persone sconosciute, incrociate per strada. Il concerto invece rompe il velo di normale e umana diffidenza e così mi trovo a scambiare sguardi e parole con gente mai vista prima. Ricevo moltissimo in quei momenti, soprattutto dai genitori di bambini disabili. Rimango scioccato dall’energia, dal coraggio, dalla forza, dalla gioia anche, inspiegabile da un certo punto di vista, che colgo negli occhi di queste persone. In loro vedo l’umanità brillare in maniera eccelsa.”

Il suo ultimo cd che si intitola “Sunrise”. Nei brani che ha composto c’è il messaggio di cui mi ha parlato?
“Sì, certo. ”Sunrise” ritrae la mia dimensione spirituale più che in tutti i miei lavori precedenti. Il titolo in inglese significa alba e allude a quel momento del mattino in cui ci svegliamo e i pensieri non ci hanno ancora raggiunto, un momento di assoluta pace con noi stessi, un presente puro svincolato dalle aspettative del futuro e dai ricordi del passato. E’ un momento puro, ideale per la preghiera. In uno dei brani che si intitola “Elevazione” , racconto il mio bisogno di tendere verso l’Alto. Attraverso il dialogo tra il pianoforte e l’orchestra cerco di arrivare al mondo lassù partendo da quello quaggiù. In quelle note, sento un bisogno di purezza. So che esiste una luce, una bellezza, cui tendo probabilmente perchè non le possiedo. Ma l’intero album è una ricerca del divino. E’ diviso in due parti. La prima è un concerto per pianoforte e orchestra e rappresenta la tensione verso l’infinito mentre la seconda è un concerto per violino e orchestra e simboleggia la discesa all’interno delle passioni umane, il tormento, l’inconscio. Per giungere al divino bisogna passare attraverso l’umano per poi volare verso il Cielo.”

Roberto Allegri
robi.allegri@gmail.com

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One Response to “Il segreto di Giovanni Allevi: la musica e’ la mia preghiera”

  1. Simone Simoni scrive:

    Grande!!!
    Ieri alle prove ho scoperto un grandissimo Compositore Grande quanto è grande la tua Vera Umiltà e tutto questo è il frutto di Dio.
    Grazie Giovanni
    Simone Simoni

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