Palazzo Hohenzollern, 1906
Swakopmund
Swakopmund è una delle più apprezzate destinazioni turistiche della Namibia: sia la città, con i suoi palazzi di stile coloniale, sia i dintorni sono meta di turisti di tutte le età.
È singolare entrare in un ristorante di Swakopmund e trovare, tra i piatti elencati nel menu, lo stinco di maiale, i wurstel con crauti, il polpettone e così via (tutti, peraltro, molto ben cucinati) accompagnati da una buona birra locale.
È ancor più singolare che il cameriere si rivolga a noi in tedesco; poiché moltissimi turisti giungono dalla Germania per visitare quella che fu una sua colonia in Africa, il tedesco è ancora parlato.
Una piacevole sorpresa è la vasta collezione di torte e pasticcini, di tradizione germanica, del Café Anton.
Edifici ben conservati
Sorta alla fine dell’800 in una zona desertica sulla costa dell’Oceano Atlantico nei pressi della foce del fiume Swakop come porto in quanto la vicina Walvis Bay era un’enclave inglese, la città si è sviluppata sino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Al termine di questa, assegnata l’amministrazione della Namibia alla Repubblica del Sud Africa, il porto di Swakopmund, già precario perché privo di barriere naturali, fu abbandonato a favore di quello di Walvis Bay.
Il fiume, a Swakopmund, è quasi sempre secco e solo raramente, in occasione di rilevanti piene l’acqua raggiunge l’oceano.
La piena è motivo di attrazione per la popolazione locale che, spesso, si affolla sulle rive ad aspettarne l’arrivo anche se in genere, persa per strada la sua forza, si riduce alla foce a poco più di un rivolo.
Nella parte della città attorno al porto sono ancora presenti numerosi edifici sorti durante la presenza tedesca la maggior parte dei quali ancora in ottime condizioni.
Val la pena di visitare il piccolo ma ricco museo e gironzolare per la città ad ammirare le vecchie case ancora perfettamente conservate
Edificio ultracentenario e la Martin Luther
Poco fuori città è conservata, in un piccolo edificio, una locomotiva a vapore ad uso stradale: la “Martin Luther” datata 1896.
La sua fu una storia travagliata fin dall’arrivo e fu utilizzata solo per poco sia per le difficoltà di movimento sulla sabbia o terreno roccioso, sia per l’alto consumo d’acqua.
Fu abbandonata e lasciata alle intemperie finché non fu restaurata nel 1975 e proclamata monumento nazionale.
Walvis Bay
Walvis Bay (in origine il nome, di origine olandese, significava baia delle balene) si trova una quarantina di km a sud di Swakopmund ed è un porto naturale conteso, nei secoli, da molte nazioni. Rimasta un’enclave inglese (conquistata per breve tempo dai tedeschi all’inizio della 2a Guerra Mondiale) e poi sudafricana in Namibia, fu definitivamente consegnata a quest’ultimo paese nel 1994.
È essenzialmente una città commerciale le cui attività ruotano attorno al porto e alla pesca.
Meno frequentata da turisti di Swakopmund, possiede alcuni siti da visitare tra cui la laguna, ricca di uccelli tra cui i fenicotteri, le saline e una chiesa trasportata via nave dalla Germania nell’800 (vedi Cofanetto del Dicembre 2015). Gli amanti delle emozioni possono effettuare escursioni sulle dune in Quad (rigorosamente con guide ed in percorsi fissi) o gite in kayak tra le foche.
Moon landscape
Dintorni
Anche i dintorni di Swakopmund e Walvis Bay sono affascinanti.
All’interno del Parco Naukluft vi sono diverse località degne di visita (è richiesto il permesso se si viaggia con un proprio veicolo).
Moon landscape (paesaggio lunare), è un territorio selvaggio ed inospitale (l’industria cinematografica lo frequenta spesso) che si incontra, percorrendo la pista chiamata Welwitschia Plains, ad una quarantina di chilometri da Swakopmund.
Come spesso accade gli ambienti “estremi” esercitano un indubbio fascino specie se si è portati a far correre la fantasia.
Welwitschia Plains è così chiamata per la presenza di numerose piante di Welwitschia mirabilis, pianta autoctona che può vivere fino a 2000 anni ( e di cui si è parlato nel Cofanetto del Gennaio 2015) in aree desertiche. Trovo questa pianta affascinante, ma allo stesso tempo inquietante se ripenso ad alcuni film di fantascienza degli anni ’50.
Altri siti da visitare, tra i molti che per ragioni di spazio non posso citare, sono Bloedkoppie, un grande blocco di granito che è possibile, con cautela, scalare e Rock Arc, in origine una grotta di cui parte della volta è crollata creando un arco naturale.
Cape Cross
Sonnellino pomeridiano
Scoperta nel 1485 dal navigatore portoghese Diogo (o Diego) Cão, che vi piantò una croce di pietra ad indicare la rivendicazione da parte del Portogallo.
L’attuale croce è una replica dell’originale che fu trafugata da un capitano tedesco e portata in Germania (le richieste di restituzione, anche recenti, non sono mai state prese in considerazione).
Verso la fine dell’800 cape Cross fu popolato da cacciatori di pelli di otarie e raccoglitori di guano.
Cape Cross, ora riserva naturale, è una delle più grandi colonie al mondo di otarie: durante il periodo della riproduzione il loro numero può raggiungere i 200.000.
Paradossale il fatto che mentre la riserva fu proclamata per «proteggere la più numerosa colonia di otarie» ogni anno viene consentito l’abbattimento, a bastonate, di decine di migliaia di cuccioli.
Le giustificazioni, se così si possono definire, sono il controllo della popolazione e il danno che le “voraci” otarie creano all’industri della pesca.
Ammesso che sia necessario equilibrare la popolazione di questi mammiferi (soggetta a periodi d’alta mortalità), l’uccisione dei piccoli a bastonate è, senza dubbio, un metodo estremamente sadico e vergognoso.
Riguardo al danno all’industria della pesca commerciale, la dieta delle otarie è costituita essenzialmente da pesce non ricercato per consumo umano.
Il calo del pescato è dovuto essenzialmente alla pesca commerciale intensiva.
Purtroppo, come già visto per la caccia di frodo ai rinoceronti ed elefanti, sono i paesi dell’est che detengono la maggiore domanda di pelli e altre parti di foca.
L’Unione Europea ha bandito l’importazione di pelli ed altri derivati dalle foche. Uniche eccezioni i prodotti dalla caccia tradizionale degli esquimesi (per i quali le foche sono tutt’ora fonte di sostentamento) e i sottoprodotti dalla caccia utilizzata nella “gestione sostenibile delle risorse marine non su base lucrativa”.
Definizione che praticamente lascia le cose come stanno visto che il mantenimento dell’equilibrio delle risorse marine è la giustificazione più gettonata per l’uccisione delle foche nei paesi in cui è praticata.
Non sono contrario per principio all’intervento dell’uomo per mantenere equilibrio tra le specie di animali ove la selezione naturale non vi riesca (e quindi anche ripopolamenti se necessario), ma utilizzando metodi che arrechino la minor sofferenza possibile.
Purtroppo spesso si assiste a mattanze per meri motivi commerciali spacciate per “gestione delle risorse”, “ricerca scientifica” o “tradizioni culturali ataviche”.
Foto e testo di Mauro Almaviva
Mauro Almaviva
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Tags: Africa, mauro almaviva, Namibia, viaggi
Del tutto in accordo sulle conclusioni finali; grazie Mauro, se queste affemazioni arrivano da un esploratore intelligente ed attento come te hanno triplo valore.
Si vorrebbe sempre poter raccontare di bei paesaggi, grandi popoli e storie liete, ma purtroppo esistono anche lati oscuri e situazioni riprovevoli che non si possono tacere.
Grazie dei tuoi commenti
Hai ragione, Mauro! Mai trascurare la realtà. L’informazione giornalistica è, o almeno dovrebbe essere, veritiera; nel bene e nel male. Bell’articolo!
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