Ecco una poesia in cui lo scrittore senegalese Cheikh Tidiane Gaye, servendosi di una snella fluidità espositiva ed esibendosi in un prolifico susseguirsi d’immagini paciose, riassume tutta una serie di semplici abitudini quotidiane (o meglio quoTidiane), per proporle come modello spirituale da seguire: esse infatti, tali e quali ad un ricordo onnipresente, tratteggiano uno stile di vita innocente e perfetto, capace d’ispirarsi –in ogni istante– ad una meravigliosa comunione d’intenti con la natura e, in particolare, col sorriso benevolo di una madre protettiva (se non provvidenziale, addirittura) il cui nome è… Africa.
Pietro Pancamo
CHI SONO
NON SONO POETA
-da Il canto del Djali (Edizioni dell’Arco, Milano, 2007)-
Lascio presto in mattinata
la mia casa di paglia
i miei sandali, cuoio di capra
proseguo il vento, le corde invisibili
nei meandri delle sonorità plurali
canto il mio villaggio, la terra dei miei avi.
Quando canto, è pane che offro
all’orecchio che mi ascolta
alla lingua che mi applaude e alle mani
che mi parlano e mi lodano.
Non sono poeta
il mio alessandrino è orfano di emistichi
la mia prosa, erba secca per illuminare le notti senza nomi
oscure e curiose.
Non sono poeta
quando canto le mie parole penetrano i cuori,
indovino le parole nei cespugli
sorgenti dei miei fertili pensieri
che procurano latte e formaggio.
Taglio le mie sillabe nel fuoco della purezza,
sono l’angelo delle maschere, invisibile la notte
nelle tenebre delle parole
che tracciano i gloriosi canti dei guerrieri.
Non sono poeta,
lo sarò.
Cheikh Tidiane Gaye
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