Amsterdam. Commovente cerimonia in ricordo del genocidio in Rwanda contro i Tutsi, nel 1994. “Uccidevano i loro cari e poi si suicidavano per non finire nella mani degli Hutu”, racconta una sopravvissuta Tutsi, che allora aveva 9 anni e vide la sua famiglia sterminata, prima di riuscire a fuggire.

Amsterdam, 7 aprile 2024. La stele in ricordo del genocidio contro i Tutsi avvenuto in Rwanda 30 anni fa, coperta di fiori, durante una commovente cerimonia organizzata dall’Ambasciata della repubblica del Rwanda. Foto di Maria Cristina Giongo

È difficile scrivere un articolo di cronaca su storie tanto terribili, di orrori, guerre fratricide, genocidi, senza lasciarsi prendere dall’emozione. Ma il compito di un giornalista è quello di informare, senza lasciarsi travolgere dai sentimenti, dalla rabbia, dalle lacrime. Anche trovandosi sul posto, quando è possibile, per testimoniare la nostra solidarietà, vicinanza a questi popoli sopraffatti, annientati, di qualsiasi parte del mondo facciano parte, qualsiasi sia il colore della loro pelle. Accanto ai sopravvissuti, di cui è importante raccogliere le storie, la verità di quanto hanno visto, su quanto hanno subito, sofferto.

Per non dimenticare mai! Soprattutto in questo momento in cui il mondo è ancora insanguinato da tante guerre, a cominciare da quella iniziata con l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, della strage di innocenti a Gaza, cominciata con la raccapricciante mattanza di duecento persone fra cui neonati e bambini decapitati nel Kibutz di Kfar Azza, l’8 ottobre 2023 nell’attacco di Hamas ad Israele, in cui sono morti anche circa 850 civili israeliani e 278 soldati. A cui è seguita una sproporzionata offensiva di Israele che ha devastato la Striscia di Gaza, con un numero di vittime ad oggi salite a circa 32.000, 75.000 i feriti! 10.000 bambini uccisi in soli 100 giorni! Come in soli 100 giorni si svolse il genocidio dei Tutsi in Rwanda.

Amsterdam, 7 aprile 2024. Beatrix Park. Una bella, importante cerimonia in commemorazione del genocidio avvenuto 30 anni fa in Rwanda, dove è stata sterminata una gran parte della popolazione Tutsi. Nella fotografia L’Ambasciatore della Repubblica del Rwanda, S.E. Olivier J.P. Nduhungirehe con sua moglie Virginie Ingabire, dopo che hanno posato corone di rose bianche e gialle accanto alla stele in memoriam di questa grande tragedia che ha colpito i nostri fratelli ruandesi. Foto di Maria Cristina Giongo

Ecco allora che oggi voglio commemorare di nuovo insieme a voi, cari amici, fedeli lettori del Cofanetto magico, proprio il genocidio contro i Tutsi avvenuto 30 anni fa nel Rwanda; per non dimenticare.
Kwibuka”, che significa “Memoria”; una parola che potete leggere nel cartellone della fotografia sottostante, che traduco: “ ricordare, unificare, rinnovare.”

Amsterdam, 7 aprile 2024, Beatrix Park. Un’immagine importante, con Maria Cristina Giongo. Per non dimenticare mai! Foto Hans Linsen

Inizio con un breve “cappello” informativo, come si dice in gergo giornalistico, sul genocidio contro i Tutsi nel Rwanda; corto in quanto non sto scrivendo un articolo storico, ma di ricordo addolorato. Esso fu uno dei più sanguinosi della storia dell’umanità. Dal 7 aprile a metà luglio del 1994 in questo Paese vennero trucidate circa 800.000 persone. Le vittime furono prevalentemente di etnia Tutsi, circa il 25% della popolazione, a causa di conflitti fra Tutsi ed Hutu, che covavano da tempo. In passato gli Hutu erano agricoltori, i Tutsi allevatori; all’epoca gli scambi e comunque i matrimoni misti fra i due gruppi erano comuni. La situazione interna, di rivalità, anche economiche e di supremazia fra etnie, peggiorò.

E di certo non migliorò con l’amministrazione coloniale del Belgio in cui prima furono i Tutsi ad andare al potere. Poi, dopo sanguinose rivolte e massacri, esso passò nelle mani degli Hutu: dal 1959 al 1962. In quegli anni iniziò la persecuzione nei confronti del popolo Tutsi, culminata con il genocidio del 1994.

Amsterdam, Beatrix Park: 7 aprile 2024. Fiori, raccoglimento, religioso silenzio, per essere accanto ai nostri fratelli ruandesi nel giorno della memoria in ricordo del genocidio avvenuto nel 1994, in cui una gran parte del popolo Tutsi fu sterminato crudelmente. Foto di Maria Cristina Giongo

Adesso passo a raccontarvi l’importante giornata che si è tenuta il 7 aprile scorso ad Amsterdam, organizzata perfettamente dall’Ambasciata della Repubblica del Rwanda, dal suo attuale Ambasciatore Olivier J.P. Nduhungirehe, dalla loro collaboratrice Lydia Sibo, che cito in rappresentanza di tutti gli altri collaboratori, con la presenza di ruandesi ed olandesi che volevano essere presenti accanto a loro; di varie associazioni, diplomatici di altre nazioni, il vice sindaco di Amsterdam, Hester van Buren, il dimissionario ministro della giustizia e sicurezza olandese, Dilan Yeșilgöz-Zegerius, che quando era piccola arrivò dalla Turchia nei Paesi Bassi su un barcone, come rifugiata. Infine, come rappresentante delle Nazioni Unite, Amanda Molesworth, che pure ha posato una corona accanto alla stele in ricordo di questo terribile genocidio, nel Beatrix Park di Amsterdam. Là potete posare un fiore anche voi, se vivete nei Paesi Bassi o siete in vacanza in Olanda.

Beatrix Park di Amsterdam, 7 aprile 2024. Il Capo di Gabinetto del Presidente delle Nazioni Unite, Amanda Molesworth, commossa, dopo aver posato la corona di fiori in memoria del genocidio del Rwanda. Foto di Maria Cristina Giongo.

Amsterdam, 7 aprile 2024, Beatrix Park, tutti uno accanto all’altro, in segno di fratellanza, all’inizio della cerimonia in commemorazione del genocidio avvenuto in Rwanda 30 anni fa. Nella fotografia L’Ambasciatore della Repubblica del Rwanda, Sua Eccellenza Olivier J.P. Nduhungirehe, con la giornalista Maria Cristina Giongo. Foto Hans Linsen.

In quel momento, mentre tutti noi, circa 250 persone, eravamo riuniti, in religioso silenzio, è apparso il sole, ad illuminare la bellezza del luogo, in un silenzio totale interrotto solo da rintocchi di campane. Dopo un discorso sull’importanza di questo giorno e del ricordo, sono state sistemate grandi corone di rose bianche e gialle da parte delle autorità. In seguito ognuno dei presenti ha posato davanti alla stele una rosa gialla o bianca.

Una bella, intensa immagine dell’Ambasciatore della Repubblica del Rwanda, Olivier J.P. Nduhungirehe, visibilmente commosso, durante la cerimonia in ricordo del genocidio avvenuto nel suo Paese 30 anni fa. Foto di Maria Cristina Giongo

Eravamo tutti uniti, indipendentemente dalla nazione di provenienza, dal colore della pelle: fratelli in pace. Come ora lo è il Ruanda: un Paese in pace.

Amsterdam, 7 aprile 2024. Foto di Maria Cristina Giongo. Significativa la scritta “insieme” dell’edificio ripreso nell’immagine.

Lasciato il Beatrix Park ci siamo diretti tutti in processione verso il Centro Convegni Rai, dove si è tenuta l’ultima parte della celebrazione, attraversando alcune vie di Amsterdam (Vedi foto sopra). Un’altro momento molto sereno di unione, solidarietà, pace da parte di tutti, anche di coloro che volevano aggiungersi al corteo. Accompagnati di nuovo dal sole, dalla luce e dal suono delle campane!

Infine si è svolta la terza parte della cerimonia, con l’accensione delle candele che rappresentano le luci sempre accese delle vittime. Molto bello il discorso dell’Ambasciatore Nduhungirehe (nella foto sopra e sotto) che ha ricordato come i Paesi Bassi abbiano contribuito molto alla ricostruzione del Rwanda, soprattutto a livello economico e legale. Oltre a quello del ministro olandese della giustizia e sicurezza, del dimissionario governo, Dilan Yeșilgöz-Zegerius, accanto alle due splendide donne sopravvissute al massacro, Christine Safari, Presidente di IBUKA- Paesi Bassi, vicino a lei, e Virginie Ingabire, vicino al marito Ambasciatore.

L’ Ambasciatore del Rwanda S.E. Olivier J.P. Nduhungirehe, durante il suo discorso.

Sala Convegni RAI di Amsterdam, 7 aprile 2024. Il ministro olandese della giustizia e sicurezza, del dimissionario governo, Dilan Yeșilgöz-Zegerius, durante il suo discorso.

Un grande spazio di riflessione e commozione è sato quello del racconto di due sopravvissute, che riuscirono a scappare al massacro del loro popolo. La prima, Christine Safari, Presidente di IBUKA- Paesi Bassi, nella foto qui sotto, che ha parlato nella sua lingua madre (a noi era stata consegnata la traduzione in lingua francese).

Christine Safari, Presidente di IBUKA- Paesi Bassi

“Sono passati 30 anni”, ha detto, “durante i quali noi sopravvissuti abbiamo assunto il duro impegno di ricostruire le nostre vite e di andare avanti. Di ricostruire non una tragedia accidentale ma piuttosto un genocidio metodicamente pianificato. 100 giorni di torture terribili, indescrivibili, insensate di Tutsi innocenti. Non dovevano essere risparmiati nessun uomo, donna, neonato, bambino, ragazzo e ragazza, anziani. Sono ferite indelebili per noi sopravvissuti che abbiamo assistito a tutti questo, salvati dall’eroismo del FPR-INKOTANYI. Quello che accadde vogliamo sia diffuso, conosciuto, senza false notizie, nella sua cruda realtà, via i mezzi di stampa, i social. Anche se ora la nostra nazione ha raggiunto la pace, è diventata un modello di ospitalità sulla scena mondiale, di una bellezza unica. 30 anni fa mio figlio Yannick, nato il 28 giugno 1994 era nel mio ventre, vorrei che ora si alzasse per mostrarvelo. Rivolgendo il mio appello affinché i giovani diventino guardiani della pace per la quale i nostri predecessori si sono battuti. Chiedo anche ai Paesi Bassi, che ringraziamo per averci sempre sostenuti ed aiutati, che garantiscano la giustizia, soprattutto nei confronti di coloro che hanno compiuto questo genocidio e che ancora si nascondono nel loro Paese, alcuni in possesso del passaporto olandese. Tanto coraggio a coloro che sono sopravvissuti, qui presenti! Restate forti, con la consapevolezza che non siete soli. Che Dio vi dia la forza di resistere. Voi siete degli eroi. Infine esprimo la mia profonda gratitudine ai nostri amici, simpatizzanti che hanno viaggiato per starci accanto con il loro sostegno nel momento in cui noi ricordiamo i nostri fratelli, sorelle, figlie, figli, parenti e amici morti. Murakoze, Merci!”

La seconda sopravvissuta che ha reso la sua testimonianza, è stata Virginie Ingabire, moglie dell’Ambasciatore, che a quei tempi aveva 9 annni. Ha cominciato a parlare con un filo di voce, raccontando una storia atroce, quella di una bimba che si salvò per caso al massacro, grazie ad un soldato nemico Hutu che le risparmiò la vita, lasciandola libera di fuggire con il fratellino. Un particolare che fa riflettere su come gli esseri umani non siano tutti cattivi, anche in guerra.

Purtroppo prima di fuggire vide il resto della sua famiglia portata fuori di casa, in cortile, assassinata; a colpi di machete! E…basta. Mi fermo qui: dove la giornalista, la cronista lascia il posto alla donna sopraffatta dal dolore, dall’emozione, sconforto, da orrori su cui a volte si fa fatica a trattenere le lacrime. Come ha fatto fatica Virginie, la quale ha dovuto interrompersi più volte, non riuscendo più a continuare a descrivere quello che subirono i suoi genitori, le sorelline…

Ad un certo punto Virginie ha raccontato che in molte famiglie si era svolto un dramma nel dramma; per non cadere nelle mani degli Hutu e non sottostare alle loro torture, molti uccidevano con le loro mani i loro cari e poi si suicidavano. Lo stesso racconto che sentii fare tanti anni fa, scrivendone un articolo, anche in Olanda, ad un evento nel Centro per la pace di Eindhoven, dove erano presenti tre giornalisti che erano appena tornati dalla Siria: Matthea Vrij, della televisione evangelica EO e Toon Lambrechts, il quale aveva girato uno “straziante” documentario in quelle zone di guerra con il collega Roel Pulinx.

Era intervenuto anche un assessore comunale curdo, Murat Memis, tornato da Kobane, a cui era stata consegnata la lettera di un bambino siriano, che scriveva al padre (combattente) scusandosi per essersi suicidato dopo aver ucciso la madre e la sorella sapendo che a breve sarebbero entrati nella loro casa le truppe dell’Isis per ammazzarli o farli prigionieri.

Sala Convegni RAI di Amsterdam, 7 aprile 2024. Ancora una bella immagine di Virginie Ingabire e Christine Safari, Presidente di IBUKA- Paesi Bassi

La stessa testimonianza l’ho quindi sentita ora: a conferma, per chi ha sollevato il dubbio che si tratti di verità, che purtroppo in guerra accadono pure queste impensabili tragedie. La differenza fra quel povero ragazzino e le due donne che hanno parlato durante la commemorazione del genocidio del Rwanda, è che lui non riuscì a scappare, forse neanche fece in tempo a firmarla, quella lettera (che qualcuno riuscì comunque a far giungere in Europa); Virginie e Christine invece ce la fecero a fuggire, a sopravvivere; ed ora fortunatamente possono raccontarci tutto di persona.

Una testimonianza storica, che ancora una volta io, come giornalista, ma soprattutto come essere umano vicino ai fratelli sofferenti, mi sento in dovere di diffondere; e continuerò a farlo.

Buon mese di maggio a tutti. Murakoze. Merci. Grazie. Bedankt.

Maria Cristina Giongo
CHI SONO

Proibita la riproduzione del testo e delle fotografie, alcune gentilmente concesse a titolo gratuito dall’Ambasciata del Rwanda e dal fotografo Willem VERSTEEGH, altre di Maria Cristina Giongo ed Hans Linsen, senza citare la fonte di provenienza.

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