La Sindrome di Procuste. Quando l’invidia fuori controllo diventa patologia. Meglio ammirare che invidiare.

L’invidia è un sentimento negativo in quanto nasce da un senso di frustrazione per la bellezza, il carisma, i successi raggiunti da un’altra persona che l’invidioso “non riesce a sopportare”; per cui fa di tutto per umiliarlo, provare a danneggiarlo via i social, al posto di lavoro, deriderlo in un gruppo di suoi amici, sminuirne le qualità. Sperando in questo modo che risaltino le sue.

Infatti solo gli invidiosi hanno bisogno di queste azioni per mettersi in luce; chi ha raggiunto quello che voleva nella vita, che sia una grande o piccola meta, non prova mai questo tipo di sentimento.

A riguardo è interessante capire quali meccanismi scattano nel cervello di una persona per colpire anche uno sconosciuto in maniera tossica; oltre alla frustrazione, dicono gli psicologi, spesso li attanaglia un senso di ingiustizia al pensiero che costoro hanno raggiunto determinati risultati, a loro parere soltanto per raccomandazioni oppure per un semplice colpo di fortuna. Allora si rodono dall’invidia. Da qui la parola diventata tanto di moda: rosicone. Dal verbo rosicare.

Circa le raccomandazioni, nepotismo, appoggi politici, esistono da sempre. Vedi il recente caso del ministro della cultura Gennaro Sangiuliano con il suo tentativo di accreditare al ministero la signora Maria Rosaria Boccia (con cui lui stesso ha confessato pubblicamente, addirittura in televisione che aveva una relazione amorosa), per la mansione di organizzatrice di eventi; finito in uno scandalo. E con le sue dimissioni!

Tuttavia sono convinta che quando ricopri un certo tipo di incarico, per esempio come direttore di un giornale, di una rete televisiva, direttore di un’azienda, se non vali alla fine non puoi reggere una simile mole di lavoro, di responsabilità, gestione finanziaria.

Lo stesso vale per i cosiddetti colpi di fortuna: se non sono supportati da una base di valori e capacità personali, restano tali. Ben vengano, ovviamente, ma non bastano a portare avanti con successo una carriera.

Comprensibile il senso di ingiustizia che assale chi non riesce ad arrivare agli stessi risultati, alla stessa posizione vantaggiosa, magari dopo aver compiuto con fatica il medesimo percorso; ma non è giustificabile “soffrirne a tal punto” da attaccare, discreditare, rivalersi sul malcapitato di turno. Addirittura cercare difetti o “indagare” su mancanze che la “sua vittima” potrebbe avere avuto o avrebbe, per renderle pubbliche; ammesso che le trovi.

Altrimenti, irritato per non essere riuscito a scovarle… se le inventa, INSINUA! Non c’è cosa peggiore delle illazioni, insinuazioni, discredito, atti a suggestionare chi legge o ascolta attraverso un pettegolezzo. Esse mettono in evidenza la vigliaccheria di chi le diffonde, il quale spera non vengano mai controllate; così intanto girano sul web.

Il confine con il reato di calunnia è molto sottile; esso, disciplinato dall’art.368, si concretizza laddove “un soggetto incolpi pubblicamente di un reato una persona di cui conosce l’innocenza, persistendo anche dopo che la medesima l’ha dimostrata, o, sempre intenzionalmente, simuli a carico di quest’ultima le tracce di un reato.” In questo caso affidatevi alla legge, soprattutto se venite citati con nome e cognome, per difendere la vostra rispettabilità e lavoro, professione.

Tornando all’invidia fuori controllo che, come abbiamo visto, può anche portare a compiere un reato, in questi casi penso sempre al Vangelo secondo Luca, (capitolo 6): E tu perché stai a guardare la pagliuzza che è nell’occhio di un tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come osi dirgli: ‘Fratello, lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio’, mentre tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio, allora vedrai chiaramente e potrai togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello. Infatti costoro sono i primi a nascondere “scheletri nell’armadio”; ma… a nessuno interessa scoprirli!

In realtà a loro non importa il soggetto colpito, a loro basta il piacere che ne ricavano loro stessi nel screditarlo,con molto cinismo; si sentono bene, provano soddisfazione nel farlo. Arrivano persino a provare odio verso la felicità di coppie di innamorati. La felicità degli altri per loro è un piatto indigesto.

Nella Divina Commedia Dante Alighieri rappresenta gli invidiosi con gli occhi cuciti da fili di ferro, loro che hanno sempre guardato gli altri con occhi malevoli.

“Fu il sangue mio d’invidia sì rïarso,
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m’avresti di livore sparso.” ( Canto XIV del Purgatorio, vv 82-84).

Con poche parole, livore sparso, Dante descrive, tratteggia compiutamente ed in modo sublime il carattere dell’invidioso e di come sparge ovunque il suo livore.

A questo punto mi sono chiesta se l’invidia può essere o diventare patologica, quando è tanto presente, insistente. Tempo fa lessi su Cosmoplitan un articolo sulla Sindrome di Procuste, scritto da Veronica Mazza con un’intervista alla Dottoressa Daniela Noccioli, collaboratrice di Guidapsicologi.it. Già allora ne rimasi colpita. Per questo l’ho cercato di nuovo, anche se nel frattempo e recentemente sono uscite tante altre pubblicazioni a riguardo, che troverete navigando su google.

Questa patologia prende il nome di un brigante della mitologia Greca,Procuste, il quale, appostato sul monte Coridallo, un demo dell’Attica,(regione storica dell’antica Grecia che comprende l’omonima penisola che si protende nel Mar Egeo) aggrediva i viandanti e li torturava battendoli con un martello su un’incudine a forma di letto; amputando loro le gambe o fratturandone le ossa per fare in modo che si adattassero alla forma del medesimo.

La Sindrome di Procuste, spiega la dottoressa Noccioli, “è una particolare patologia mentale che porta le persone che ne soffrono a provare una profonda invidia e un forte senso di frustrazione verso chi dimostra capacità, talento e riesce a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato”, dice l’esperta. “Rispetto ad un’invidia cosiddetta “sana”, caratterizzata cioè dal riconoscere le qualità altrui senza cercare di sminuirle e dal tentativo di mettere in atto le strategie adeguate per migliorare la propria posizione lavorativa e sociale, l’invidia patologica è caratterizzata da un profondo senso di disprezzo; e spesso può portare al tentativo di ostacolare il successo dell’altro anche attraverso mezzi sleali.”

“Questo li “aiuta” a sopportare meglio il loro senso di fallimento e di inadeguatezza” spiega la psicologa. “Inoltre sono intolleranti ai cambiamenti. Il motivo? Hanno paura di uscire dalla loro zona di confort o di essere sostituiti da qualcuno più capace di loro. Per questo non sono aperti alle collaborazioni. E per questo vivono in perenne difesa, pronti ad attaccare, tentando di imporre il loro punto di vista e giudicando sempre negativamente quello che fanno gli altri.”

Ma come possiamo difenderci da loro? “Anche se può essere spiazzante essere aggrediti e screditati così, non bisogna farsi sopraffare, reagendo quando la situazione diventa insostenibile, dolorosa. Una volta che si è capito di essere di fronte ad una persona con queste caratteristiche, è necessario tutelarsi. Per esempio costruendo una rete all’interno del gruppo amicale, di lavoro ecc., confrontandosi con gli altri in modo da impedire che questa persona abbia la possibilità di danneggiare. Potrebbe essere utile provare a parlarle con chiarezza, ma senza mai farsi carico dei suoi problemi: in quanto questo deve essere fatto nelle sedi opportune e da parte di professionisti che hanno gli strumenti adeguati per intervenire”, suggerisce la dottoressa.

Reagire va bene, ma senza perdere la testa. Aiuta molto attuare un vigile autocontrollo. Quindi mai reagire d’impeto, in preda all’ira, ricambiando gli insulti nel momento in cui si viene provocati. Non cascare nella trappola degli invidiosi, non lasciarsi invischiare nella loro ragnatela, spesso mirata a farvi perdere la sicurezza in voi stessi, sino a patirne; ricordarsi sempre che “per una persona che ti umilia, altre cento invece ti stimano ed apprezzano,” mi ha detto un rinomato giornalista.

L’importante è non lasciare le proprie emozioni (anche confessioni private) nelle mani di una persona malevola che poi le userà a suo piacimento, per i suoi scopi di discredito o, appunto, derisione. Arrivando persino a renderle pubbliche.

D’altra parte non è detto che tutti debbano trovarci simpatico, o simpatica, condividere le nostre idee, apprezzare ogni cosa che facciamo, compiacerci. “Non puoi piacere a tutti”, mi disse una volta un’amica. In questo caso saremmo noi degli egocentrici, sempre alla ricerca di rassicurazioni, attenzioni, complimenti.

Anche la critica, leggittimo diritto sancito dall’articolo 21 della nostra Costituzione italiana, ha il suo valore, serve a far riflettere, a migliorarsi: ovviamente se espressa in modo costruttivo, non distruttivo, non fine a se stessa, gratuita, continua. È sgradevole sentirsi sempre con il fiato sul collo qualsiasi cosa si scriva, si faccia, si dica.

Rimaniamo pertanto orgogliosi di quello che siamo, che abbiamo realizzato, spesso a fatica. Restando persone buone, oneste, generose con tutti: persone che invece di invidiare gli altri, li ammirano.

In quanto se l’invidia, la critica è persistente, malevola, è un sentimento negativo, nocivo. Al contrario l’ammirazione nei confronti delle doti, dei successi di un amico, amica, familiare, collega di lavoro, personaggio celebre (il quale, se è diventato famoso, un motivo di sicuro c’è) è un moto dell’animo positivo; che fa bene a loro e a noi stessi. Che produce amore, ispira amore, restituisce amore.

Maria Cristina Giongo
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