All’Inferno e ritorno. Appassionante viaggio in una valle dimenticata del Sud Africa

Foto M. Almaviva. Inospitale paesaggio

Durante i nostri viaggi nell’Africa del sud, mia moglie ed io abbiamo spesso visitato luoghi dai nomi misteriosi e intriganti. Molti di questi sono conosciute mete turistiche (ad esempio la Skeleton Coast e la Valley of Desolation), altri poco noti o non facilmente raggiungibili (la città fantasma di Pomona, per citarne uno).
The Hell (L’Inferno) è uno di questi ultimi.
Stavamo percorrendo la R328 del passo Swartberg (Sud Africa), una delle più suggestive strade nel paese (e pare anche nel mondo) costruita, a fine ‘800, da Thomas Bain e ancor oggi quasi tutta sul tracciato originale.
Circa 3 km dopo il passo, in direzione nord, abbiamo notato un cartello: Gamkaskloof –The Hell; 50km=due ore
La località non era sulla nostra guida (in realtà era un piccolo paragrafo sotto altra voce), ma uno scambio di occhiate è stato sufficiente per farci deviare verso quella destinazione: che sarà mai “L’Inferno”?

Foto M. Almaviva. Parte iniziale della strada e Fynbos

La strada, sterrata e stretta, è per due terzi piacevole, in graduale discesa e circondata da vegetazione a tipo macchia mediterranea (chiamata Fynbos) endemica solo nell’estremo sud dell’Africa. Talora essa, però, diviene più stretta e nervosa con secche curve su precipizi senza fine.
Fu dopo una curva a sinistra che ci si aprì uno scenario incredibile: una verde vallata incastonata tra ripide e rocciose montagne ricoperte da bassa vegetazione. Eravamo arrivati a Eland Pass (l’Eland è la più maestosa antilope dell’Africa del sud).
Da qui la strada è angusta e ripida e il precipizio sembra volerti inghiottire a ogni momento. Insomma una di quelle strade che a ogni curva ti spingono dire: “Dio, fai che non arrivi un veicolo in senso opposto!”.
Perché fare retromarcia con la nostra Land Rover Defender 110 (lunga quattro metri e mezzo) sarebbe stato un pianto. Neanche a pensare di fare l’inversione a U: la strada era larga non più di 3 metri al massimo.
I pochi chilometri per arrivarci dal passo sono stati, quindi, i più difficili.

Foto M. Almaviva. La valle dell’Inferno e l’infernale strada

All’inizio della valle abbiamo trovato un posto di ristoro ed essendo gli unici clienti, il gestore (erede di una delle famiglie che qui vivevano) ci ha mostrato un album di vecchie foto d’epoca e un foglio con una breve storia di Gamkaskloof e della sua comunità isolata. Il nome significa Valle (kloof) dei Leoni (Gamka), più conosciuta come “L’Inferno”.
Ho, in seguito trovato, in libreria, un volumetto scritto da Sue van Waart (1931-2009) che raccolse testimonianze e documenti sulla comunità.
Non è chiaro come la valle fu scoperta all’inizio dell’ 800. Una delle storie narra di un gruppo di pastori che, alla ricerca di animali perduti, giunsero nella fertile valle decidendo di trasferirvisi con le famiglie.

Comunque sia da quel momento Gamkaskloof ha iniziato a popolarsi (raggiungendo anche più di 150 persone divise in 26 famiglie). I rapporti fra gli abitanti erano in genere buoni anche se vi furono contrasti che però non portarono a fatti di sangue.
I matrimoni erano tra membri di famiglie diverse.
Per raggiungere la valle non vi erano strade ma tre sentieri percorribili a piedi o con asini su e giù per i desolati monti.
Raggiungere la cittadina più vicina richiedeva almeno una o due intere giornate di cammino; di più quando si trasportavano materiali o quando il fiume Gamka, che incrocia la valle all’imbocco Ovest, era in piena.
Per questo gli abitanti erano autosufficienti. Le case erano costruite con legno, argilla mescolata a sterco di vacca e resine, sassi.

Foto M.Almaviva. Casa della “luna di miele” costruita per una coppia di sposini

Venivano allevati ovini, bovini, galline e coltivato il fertile terreno con i comuni vegetali, cereali e piante da frutto; dal miele si ricavava anche una bevanda alcolica.
Per dare un altro esempio, per pulirsi i denti era usata cenere mescolata a sale fino sfregata, con un panno, sui denti.
Si è calcolato che la valle (lunga circa 16 chilometri) alberghi circa 4.500 specie di piante.
Il mobilio, suppellettili e attrezzi (anche stufe in ghisa) erano trasportati a braccia dai villaggi oltre le montagne.
I contatti col mondo esterno erano, quindi, ridotti agli scambi dei prodotti che i valligiani facevano, periodicamente, per acquistare nei villaggi quanto essi non potevano produrre.
Lungi dal vestirsi in maniera trasandata, essi amavano indossare eleganti capi nelle occasioni importanti.

Alcune donne fungevano da infermiere e ostetriche utilizzando rimedi naturali e, talora, anche “stregoneschi”.
Non si ha menzione ufficiale della valle se non dal racconto di soldati Boeri che, durante la seconda guerra Anglo-Boera (1899-1902), vi capitarono per caso mentre fuggivano dall’esercito inglese attraverso le imperve montagne.
Ospitati dai valligiani, i soldati si resero conto che essi poco sapevano di quello che succedeva oltre le montagne. Uno di essi menzionò, in seguito, l’episodio nelle sue memorie.
Col passare del tempo i contatti divennero un po’ più frequenti: ispettori delle tasse e ufficiali veterinari saltuariamente visitavano le famiglie.

La prima scuola fu costruita all’inizio del ‘900 (in seguito divenne una chiesa).
Pare che fu proprio un ispettore veterinario ad assegnare il nome “l’inferno”: si narra che, dopo il primo viaggio, avesse riferito di aver compiuto «una visita all’inferno e ritorno».
Anche se gli abitanti hanno sempre sdegnosamente respinto questo nome, la valle è ancora conosciuta (anche sulle guide) come The Hell (o Die Hel in Afrikaans, la lingua dei Boeri).
Vi è un aneddoto che riguarda un abitante il quale ricevette, poco dopo il 1970, la cartella delle tasse che aveva come indirizzo “H. Mostert, The Hell”.
Egli orgogliosamente respinse al mittente la busta scrivendovi sopra” «sinceratevi prima se la gente dell’inferno (quello biblico N.d.R.) deve pagare le tasse!».
Quando però, alla fine degli anni ’40 una donna contrasse il tetano e fu necessario trasportarla all’ospedale utilizzando la rete di un letto singolo come barella, i valligiani cominciarono a rendersi probabilmente conto che il loro isolamento non era più così dorato.
Un fatto curioso è l’arrivo della prima auto ben in anticipo rispetto all’apertura della strada. Nel 1958 un visitatore decise di donare una Morris V-8 Per gli spostamenti lungo la valle.

Foto M.Almaviva. Rottame della prima auto nella valle.

L’auto fu letteralmente trasportata a braccia da nove uomini o trainata da quattro muli.
Nel 1959 fu iniziata la costruzione di una diga lungo il fiume Gamka. Il lago, di conseguenza, interruppe un sentiero rendendo arduo i viaggi per e dalla valle.
Anche per questo motivo fu costruita la strada, aperta nel 1963, che ancor oggi è l’unico collegamento col mondo esterno. Nel 1965 arrivò la linea telefonica (che spesso non funzionava).
Purtroppo quella che doveva essere un collegamento vitale con la civilizzazione, fu in realtà il mezzo, per le famiglie, di lasciare la valle.
Probabilmente i sempre più frequenti contatti col mondo esterno avevano fatto capire, specie ai giovani, che la vita, così come condotta fino ad ora, non aveva più ragione di essere.
L’ultima coppia di valligiani lasciò la valle nel 1991.

Le abitazioni furono vendute o acquisite al Cape Nature Conservation e nel 1997 Gamkaskloof fu dichiarata monumento nazionale. Alcune abitazioni furono rinnovate a uso turistico.
Quando ci giungemmo, nel 2008, solo due case erano utilizzabili (non ci fermammo a dormire).
All’estremo ovest della valle abbiamo visitato un interessante piccolo museo.
Dal 2013 la valle appartiene alla “Boplaas” una società formata da Cape Nature Conservation e quattro proprietari delle uniche case ristrutturate e la proprietaria di una fattoria.
Questi le gestiscono a uso turistico. Vi è anche un campeggio.
Non c’è energia elettrica e, a parte pannelli solari, si utilizzano gas e candele.
Nel sito web di Boplaas è sconsigliata la gita di un giorno, anche perché sembra che la strada lungo la valle sia accessibile solo a chi prenota il pernottamento.
Di Gamkaskloof tutto è incredibile: la storia, la strada per arrivarci, la natura. Anche se è stata una faticaccia andare e ritornare in una giornata, dobbiamo ammettere che è stato uno dei luoghi più affascinanti visitati. Certamente l’ideale sarebbe rimanere per alcuni giorni per godere una straordinaria pace e avere una sia pur lontana idea dello stile di vita degli antichi abitanti.

Mauro Almaviva
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Per prenotazioni soggiorno o richiesta informazioni
http://www.diehel.co.za/

Quattro interessanti filmati che illustrano la strada ed il paesaggio (in inglese)
www.mountainpassessouthafrica.co.za

Storia della valle e dei suoi abitanti
Sue van Waart: The Hell, valley of lions; edizioni LAPA; anno 2000

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