La Dunedin Star arenata
Probabilmente pochi salvataggi in mare sono stati così drammatici e travagliati come quello dei superstiti della Dunedin Star naufragata, nel novembre 1942, sulla famigerata Skeleton Coast (Costa degli Scheletri), in Namibia, poco a sud della foce del fiume Kunene che separa questo paese dall’Angola.
Della Costa degli Scheletri ho scritto nell’ottobre 2014 e, comunque, il nome definisce bene il luogo ove i superstiti si sono trovati a dover lottare per la vita.
La Dunedin Star, una nave da carico che trasportava munizioni e approvvigionamenti, aveva a bordo un equipaggio di 85 uomini più 21 passeggeri paganti e stava percorrendo la più sicura rotta intorno all’Africa, durante la Seconda Guerra Mondiale, per raggiungere l’esercito inglese in Medio Oriente.
Durante la notte del 29 novembre essa urtò, al largo della Costa degli Scheletri, un ostacolo sommerso che aprì una grossa falla nella chiglia. Al comandante non restò altro che farla arenare per evitare l’affondamento a circa 500 m dall’inospitale costa.
Fu subito ovvio, dopo aver trasmetto il segnale d’aiuto, che non sarebbe stato possibile attendere i soccorsi a bordo: il mare in quell’aera è sempre molto agitato e rischiava di spezzare il cargo.
Fu messa a mare la scialuppa a motore che iniziò a trasportare i passeggeri e gli uomini dell’equipaggio a riva.
Che le cose non sarebbero andate per il verso giusto lo si capì quando, dopo due viaggi, la scialuppa si guastò lasciando, sulla spiaggia, 63 persone, tra cui 8 donne 3 bambini ed un numero imprecisato di anziani, a dividersi l’acqua e le razioni che erano a bordo della barca che era stata tratta a riva.
Nel frattempo, il segnale di pericolo era stato captato per cui il rimorchiatore Sir Charles Elliot e la nave Nerine lasciarono Walvis Bay (700 km a sud del punto di naufragio) e le due navi da carico Temeraire e Manchester Division fecero rotta verso vero la Dunedin Star.
Anche una colonna di veicoli lasciò la capitale, Windhoek, per raggiungere via terra la costa.
Si può pensare che, con tanti mezzi di soccorso in campo, il salvataggio sarebbe stato rapido ed invece non fu così: il peggio doveva ancora venire.
Le navi di soccorso raggiunsero la Dunedin il primo dicembre. Dato il pescaggio e il mare sempre molto mosso, le navi di soccorso non poterono avvicinarsi troppo a riva.
La Nerine, quindi, lanciò in mare dei canotti con approvvigionamenti per i naufraghi sulla spiaggia, ma la famigerata corrente del Benguela se li portò via. A questo punto la nave tornò a Walvis Bay.
Toccò, quindi, alla Temeraire che mise in acqua la scialuppa a motore che raggiunse il relitto della Dunedin Star, prese a bordo 10 uomini ma, mentre si dirigeva verso la Manchester Division che avrebbe dovuto accogliere i naufraghi, il motore si ruppe e i marinai dovettero vogare per più di un’ora per raggiungere, stremati, la nave. Il giorno successivo riprovarono e, questa volta, riuscirono a trasportare, in 4 viaggi, i rimanenti 32 uomini della Dunedin a bordo del rimorchiatore Sir Charles Elliot, nel frattempo arrivato. Dato il suo basso pescaggio si era avvicinato più a riva, facilitando il compito della scialuppa; esso trasportò i marinai a bordo del Manchester Division e del Nerine.
Il rimorchiatore stava ritornando verso Walvis Bay quando naufragò a sua volta a Rocky Point. L’equipaggio cercò di raggiungere a nuoto la riva, ma due marinai, purtroppo, perirono tra le onde. Ironia della sorte che i salvatori divenissero, a loro volta, naufraghi.
Intanto che era stato di coloro che aspettavano sulla spiaggia?
Un gruppo di naufraghi sulla spiaggia
Il 3 dicembre un aereo militare Sud Africano (Lockheed Ventura) lanciò a bassa quota approvvigionamenti sulla spiaggia, ma la maggior parte andò distrutta nell’impatto.
Il pilota, allora, decise di scendere in una zona pianeggiante per caricare qualche passeggero. Peccato che la spianata fosse, in realtà, un “salt pan” e cioè una pozza di sabbia salata umida ricoperta da una sottile crosta; ovviamente l’aereo sprofondò immobilizzandosi e aumentando il numero di coloro che dovevano essere salvati.
Il Lockheed Ventura insabbiato
Altri aerei, comunque, fecero la spola e lanciarono viveri e acqua per i naufraghi e per il convoglio in arrivo.
Il 9 dicembre il Nerine ritornò in zona e mise in mare una scialuppa che tentò, inutilmente, di sparare una cima sulla spiaggia per favorire l’imbarco dei naufraghi; ci pensò l’operatore radio che coraggiosamente nuotò fino a riva, tra i cavalloni con una fune annodata in vita.
In tutto si riuscì a trarre in salvo altri 26 naufraghi.
E gli altri? Furono tratti in salvo dalla colonna di veicoli arrivata nel frattempo.
Manca qualcuno all’appello? I naufraghi del Sir Charles Elliott, ancora sulla spiaggia a Rocky Point, che furono presi a bordo di un altro Ventura atterrato sulla sabbia.
Restava solo da recuperare l’aereo impantanato: il 17 gennaio il pilota lasciò Windhoek con un convoglio. Dopo quattro giorni di riparazione e di scavo per liberare le ruote l’aereo finalmente ripartì.
Fine della storia? Ahimè no. Dopo una quarantina di minuti di volo vi fu un guasto ad un motore e il pilota dovette ammarare vicino a riva; l’equipaggio riuscì a salvarsi e fu recuperato dal convoglio di “riparatori” che stava tornando indietro.
Nonostante le difficoltà tutti furono salvati, ma ad alto costo: due dei salvatori perirono tra le onde, un rimorchiatore ed un aereo si inabissarono.
Vi fu un momento da commedia quando, mentre un aereo stava per decollare, gli fu chiesto di dirigere immediatamente verso il mare per una ricognizione alla ricerca di un sommergibile tedesco. Il pilota sapeva che, anche se avvistato, non avrebbe potuto certo bombardare il sommergibile con lattine d’acqua, di latte condensato e biscotti. Fidava sul fatto che, se fosse stato avvistato, il sommergibile si sarebbe immerso scappando.
Le fotografie sono tratte da:
J. Dawson: Dead Reckoning, the Dunedin Star disaster; Weidenfeld & Nicholson ed. 2005
Tentativi di risalire al detentore del copyright delle fotografie di Dead Reckoning by J. Dawson, sono stati senza successo
Attempts at tracing the copyright holder of the images from Dead Reckoning by J. Dawson, were unsuccesful
Mauro Almaviva
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