Dal momento che la rassegnazione tranquillizza, a volte, più della serenità, per la mia vecchiaia in procinto d’iniziare, mi son posto un buon obiettivo: ovvero quello di accettare il mio destino gramo; ed emulo in ciò, cari amici de «Il Cofanetto Magico», quanto si prefiggeva forse di fare, nelle due brevissime liriche che pubblico quest’oggi, il poeta lucano Leonardo Sinisgalli, il quale –laureatosi in ingegneria a Roma nel 1932– dedicò la propria esistenza ad esplorare i rapporti fra cultura umanistica e pensiero scientifico, entrando in contatto con gli intellettuali più noti della sua epoca e arrivando a produrre versi che, inizialmente ermetici, si distinsero poi –come nei testi che trovate qui sotto– per una sorta di elegiaco disincanto (paradossale, magari, ma sicuramente in grado di cogliere in toto le contraddizioni e i limiti della nostra vita, della nostra condizione).
Pietro Pancamo
CHI SONO
STELLE VESPERTINE
-da La vigna vecchia (Mondadori, Milano, 1956)-
O eternamente avverse
e a me sempre dilette
stelle vespertine,
vivide luci su opposti poli!
Vi guardo dall’alto della vigna
nel quieto firmamento
splendere sopra le case del mio borgo
stelle nemiche, stelle
in opposizione.
Mi calma il vostro scintillio, stelle
della promessa e dell’addio.
Leonardo Sinisgalli
***
LO SPAURACCHIO
-da La vigna vecchia (Mondadori, Milano, 1956)-
Non può piegarsi
a carezzare le spighe brune,
a stringere in pugno i passerotti.
Può solo guardare più a lungo
il tramonto.
Leonardo Sinisgalli
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