Minatori, fine ‘800 (Archivio Storico Digitale dello Swaziland)
Le foglie di un arbusto cresciuto davanti all’ingresso della galleria del “livello 4” della miniera d’oro “Daisy” (risalente alla fine del 19° secolo e abbandonata da ottanta anni) si muovevano a indicare presenza di corrente d’aria. Il pertugio lasciato dallo smottamento dell’ingresso era però troppo piccolo da permetterci l’accesso: abbiamo dovuto aprire un passaggio sufficiente a entrare carponi.
La galleria in sé era alta non più di 160 cm per cui eravamo costretti a procedere curvi.
Nell’immaginario collettivo le miniere sono invase da pipistrelli aggressivi, puzzano di muffa e legno stantio, trasudano acqua, radici di alberi penzolano dal soffitto.
Non è sempre così e dopo aver esplorato una cinquantina di gallerie in venti miniere, mi sento in obbligo, per sfatare l’ingiusta nomea dei pipistrelli, di testimoniare che essi ci ignoravano oppure, spaventati, ci frullavano intorno alla ricerca dell’uscita e noi, per agevolarli, ci siamo spesso abbassati per lasciare loro il passaggio.
In alcune occasioni abbiamo notato, con una certa apprensione, piccole radici scendere dalla volta delle gallerie, segno che la roccia sopra di noi non era molto compatta (le radici degli alberi possono infilarsi nelle crepe e frantumarla).
Daisy (Margherita), nel nord dello Swaziland, fu la prima miniera che esplorammo e l’alone di mistero che la circondava ci rese particolarmente inquieti mentre avanzavamo lentamente con molta attenzione.
Perché questa miniera fu, apparentemente, teatro di una tragedia.
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