Posts Tagged ‘mauro almaviva’

Il Ponte del Diavolo: un attraversamento da brivido

domenica, gennaio 24th, 2016

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Devil’s Bridge in una rara mappa del 1914 su stoffa (per gentile concessione di Bob Forrester)

«È una stretta balza di roccia distesa sopra una spaccatura nella montagna ed è meglio non guardare troppo a lungo quello che sembra un abisso senza fine» (Edward P. Mathers: Golden South Africa, 1888)

«Il ponte è una formazione rocciosa che attraversa una valletta profonda circa 600 metri; esso è largo 6 metri e lungo 60 metri. Da entrambi i lati si osservano le profonde valli che si fanno strada per miglia in mezzo ad un’aspra babele di monti….. .È chiamato il Ponte del Diavolo, ma non riuscirò mai a capire perché tante bellissime località hanno preso nome da Sua Satanica Maestà». (E. Clairmonte: Africander, 1896)

Così fu descritto Devil’s Bridge, il Ponte del Diavolo, da due viaggiatori di fine ‘800.

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Chiese “spedite” e chiese di fango: aspetti della fede nell’Africa del sud

lunedì, dicembre 21st, 2015

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La chiesa Renana di Walvis Bay

Rhenish Church a Walvis Bay (Namibia)

Se è vero che “la fede muove le montagne” anche una chiesa può essere spostata.
Non sono riuscito a scoprire perché i fedeli della Rhenish Church (Chiesa Renana) di Walvis Bay (Namibia) abbiano importato una chiesa di legno prefabbricata dalla Germania invece di costruirla in loco con pietre e legno come usava all’epoca.
La Società Missionaria Renana nacque, si può dire, ai primi dell’800 in Germania. Missionari furono inviati in Sud Africa e, da qui, essi giunsero anche in Namibia.

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Alla ricerca delle miniere d’oro perdute dello Swaziland: antiche tragedie e nuove prospettive- seconda parte

martedì, novembre 24th, 2015

Minatori fine ‘800 (Swaziland Digital Archives)

La corsa all’oro
Il periodo a cavallo tra il 19o e il 20o secolo vide una frenetica corsa all’oro in Sud Africa e in Swaziland.
In quest’ultimo paese furono aperte numerose miniere, dai nomi bucolici (Margherita), storici (Ivanhoe, Nottingham, Buckingham) o minacciosi (Sciacallo, Filone del Diavolo).
Furono intrapresi imponenti lavori.
Per far giungere l’acqua necessaria a far girare la ruota da mulino che muoveva i macchinari, a Daisy fu costruita una condotta di due chilometri, del diametro di circa mezzo metro che originava da una cascata sui monti.

Resti della condotta e della diga costruita sono ancora visibili nella fitta foresta.

Col tempo lo sfruttamento delle vene aurifere divenne più dispendioso e arduo per la necessità di scendere sempre più in profondità.
Entro gli anni ’30 del secolo scorso esse furono man mano abbandonate e lasciate in balia della natura.
Da allora saltuariamente scavi furono ripresi in alcune di esse fino agli anni ’60.
Negli anni ’40 fu iniziata, nell’area mineraria, la posa di eucalipti e pini per ricavarne legname e polpa di cellulosa per le cartiere (una delle principali risorse economiche del paese ancora oggi).
Quasi tutte le miniere abbandonate finirono inghiottite dalle fitte foreste tropicali o dalle piantagioni.

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Alla ricerca delle miniere d’oro perdute dello Swaziland: antiche tragedie e nuove prospettive

domenica, ottobre 25th, 2015

Minatori, fine ‘800 (Archivio Storico Digitale dello Swaziland)

Le foglie di un arbusto cresciuto davanti all’ingresso della galleria del “livello 4” della miniera d’oro “Daisy” (risalente alla fine del 19° secolo e abbandonata da ottanta anni) si muovevano a indicare presenza di corrente d’aria. Il pertugio lasciato dallo smottamento dell’ingresso era però troppo piccolo da permetterci l’accesso: abbiamo dovuto aprire un passaggio sufficiente a entrare carponi.
La galleria in sé era alta non più di 160 cm per cui eravamo costretti a procedere curvi.
Nell’immaginario collettivo le miniere sono invase da pipistrelli aggressivi, puzzano di muffa e legno stantio, trasudano acqua, radici di alberi penzolano dal soffitto.
Non è sempre così e dopo aver esplorato una cinquantina di gallerie in venti miniere, mi sento in obbligo, per sfatare l’ingiusta nomea dei pipistrelli, di testimoniare che essi ci ignoravano oppure, spaventati, ci frullavano intorno alla ricerca dell’uscita e noi, per agevolarli, ci siamo spesso abbassati per lasciare loro il passaggio.
In alcune occasioni abbiamo notato, con una certa apprensione, piccole radici scendere dalla volta delle gallerie, segno che la roccia sopra di noi non era molto compatta (le radici degli alberi possono infilarsi nelle crepe e frantumarla).
Daisy (Margherita), nel nord dello Swaziland, fu la prima miniera che esplorammo e l’alone di mistero che la circondava ci rese particolarmente inquieti mentre avanzavamo lentamente con molta attenzione.
Perché questa miniera fu, apparentemente, teatro di una tragedia.

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Visitare la valle dei babbuini e la valle della desolazione (Sud Africa): esperienze indimenticabili

mercoledì, settembre 23rd, 2015

BAVIAANSKLOOF (VALLE DEI BABBUINI)

Visitare o solo attraversare Baviaanskloof (in Afrikaans Valle dei Babbuini) nella provincia di Eastern Cape in Sud Africa, sono esperienze memorabili.
Tanto memorabile è stato per noi che ricordiamo ancora la data: 16 Ottobre 2008.
Avevamo pernottato al Kudu Kaya Chalet, all’imbocco della valle e la pioggia caduta tutta la notte ci aveva impensierito, visto che avremmo dovuto guadare alcune volte il fiume Baviaanskloof e passare circa 25 “low level bridge” (bassi e corti ponticelli in cemento che, in caso di piogge intense, sono sommersi dal fiume).
Per fortuna alle 7 del mattino, il cielo si era rischiarato e, anche se restava di un grigio poco rassicurante, aveva cessato di piovere. Decidemmo, quindi, di arrischiare.
Giunti al primo guado (lungo 100 m circa) abbiamo dovuto scegliere se tentare l’attraversamento o tornare indietro: la giornata grigia e la torbidità rendevano, infatti, impossibile valutare la profondità dell’acqua (l’attraversamento di Baviaans è consigliato ai veicoli 4×4 o 4×2 molto alti sul terreno).
La nostra Defender diesel era alta e munita di “snorkel” (prolungamento dell’aspirazione dell’aria) per cui ci siamo avventurati nel fiume lentamente e a velocità costante.
L’acqua, ci arrivava alle portiere ma il passaggio è stato agevole data anche la bassa velocità della corrente.
Per fortuna i successivi attraversamenti sono stati più facili e, rilassati, siamo entrati nella parte dei viaggiatori curiosi.

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Lungo la Garden Route in Sud Africa: bellezze e curiosità

lunedì, agosto 24th, 2015

La Garden Route (strada o itinerario giardino), nella Repubblica del Sud Africa, è uno dei percorsi più suggestivi dell’Africa australe.
Essa si snoda per circa 750 km da Port Elizabeth fino a Cape Town ed è una dei punti focali dell’industria turistica del paese grazie anche al clima temperato tutto l’anno.
In alcune guide vengono definiti come Garden Route solo i tratti più conosciuti e suggestivi.
In realtà se è vero che solo alcuni tratti della strada (che è la statale N2), sono spettacolari, è altrettanto vero che sono i dintorni a essere ambita meta turistica, tanto che si consiglia di percorrerla in almeno tre giorni.
Innumerevoli sono le località degne di menzione, ma non dovendo stendere una guida, mi limiterò a descriverne alcune e non me ne vogliano coloro che amano altre località altrettanto pittoresche.

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La foresta pietrificata e altre mete in Namibia

giovedì, luglio 23rd, 2015

Tronco fossilizzato

Chi ha letto alcuni dei miei precedenti resoconti di viaggio ha potuto capire che la Namibia è uno dei paesi capaci di stupire continuamente il viaggiatore.
Deserti sabbiosi si alternano a lande rocciose, profonde gole e pianure infinite.
Il paesaggio offre un continuo variare di sfumature di colore a seconda dei luoghi e del momento della giornata.
Sostare, spegnere il motore ed ammirare il paesaggio nel silenzio quasi assoluto, è un’esperienza che ritengo tonificante.
Il cielo terso ed azzurro e un orizzonte apparentemente senza confini generano la sensazione di completa libertà (la Namibia ha una superficie circa 3 volte quella dell’Italia ed una popolazione attorno ai 2 milioni di abitanti).
In questo breve articolo vi descriverò altre bellezze naturali che ritengo valga la pena di visitare; alcuni di questi luoghi sono monumenti nazionali.
Le distanze sono misurate su strada (asfaltata o pista agevole).

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Viaggio in Swaziland

martedì, giugno 23rd, 2015

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Le verdi montagne dello Swaziland

Forse perché ci ho vissuto per molti anni, lo Swaziland occupa un posto importante nel mio cuore.
Pochi, in Italia, conoscono il paese e credo che la maggior parte di essi tragga informazioni dagli articoli che appaiono talora sui nostri giornali e che travisano un’antica cerimonia.
Il regno dello Swaziland ha una superficie più o meno uguale a quella del Lazio con una popolazione di poco più di un milione di abitanti (di cui oltre il 70% vive in zone rurali) composta quasi totalmente da una sola etnia: gli Swazi, un popolo di antiche tradizioni guerriere. Essi erano secondi, fino all’avvento del colonialismo, solo agli Zulu (da pronunciare senza accento sull’ultima u).

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Il Parco Namaqua in fiore e il selvaggio Cederberg, Sud Africa

sabato, maggio 23rd, 2015

Parco Nazionale Namaqua

Namaqua National Park www.sanparks.co.za/parks/namaqua/
Il Parco Nazionale Namaqua, nella costa Nord-Ovest della Repubblica del Sud Africa, è uno dei più famosi per varietà di flora.
Nei mesi di Agosto e Settembre, dopo le piogge di primavera, il territorio, che in genere è semiarido e deserto, diviene un caleidoscopio di colori.
Il parco alberga, tra l’altro, quella che è ritenuta la più alta concentrazione di piante grasse al mondo (più di 3500 di cui 1000 crescono solo qui).
Il paesaggio, che è montagnoso fino a pochi chilometri dalla costa atlantica, è comunque affascinante anche durante il resto dell’anno.

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Due uomini nel deserto (per non parlare del cane)

martedì, aprile 21st, 2015

Territorio aspro, selvaggio ma affascinante

La citazione adattata del titolo del romanzo di Jerome K. Jerome «Due uomini in barca (per non parlare del cane)» mi sembra adatta per introdurre il racconto della fuga di due amici e del loro cane in una zona desertica della Namibia per evitare la prigione.
Non un romanzo d’avventure ma una storia vera narrata in un libro da uno dei protagonisti.
Henno Martin e Hermann Korn erano due geologi tedeschi impiegati nell’ex Africa occidentale tedesca (odierna Namibia) amministrata, dopo la prima guerra mondiale, dal Sud Africa.

Nel 1940, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, il governo sudafricano, iniziò ad internare i cittadini di origine tedesca nei campi di concentramento.
Martin e Korn, contrari alla guerra, non avevano intenzione di farsi internare né di aver parte in quello che essi definivano un suicidio di massa di popolazioni civilizzate.
Erano quindi, come Martin scrive, «determinati a mantenere la nostra neutralità e a difendere la nostra indipendenza per quanto in nostro potere».
Una notte, seduti sui gradini di casa, ricordarono le parole che, per gioco, si dissero tempo prima: «se la guerra verrà, la passeremo nel deserto!».

Affascinati dall’idea iniziarono immediatamente i preparativi per e vivere nel deserto fino alla fine degli eventi bellici.
Non potendolo abbandonare, decisero di portare con loro il cane Otto.
La loro meta era una zona arida priva di strade e disabitata lungo il canyon del fiume Kuiseb, a circa 150 km in linea d’aria a Sud-Ovest dalla capitale Windhoek.
Caricarono il furgone di servizio con i loro averi e notificarono alla polizia che sarebbero andati, per lavoro, a Karibib città a Nord-Ovest della capitale. Vi giunsero, si fecero vedere ma poi, di notte, partirono per l’avventura.

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