Avete fumo che suona nel vostro paese? Ovvero: Livingstone, le cascate Vittoria ed io

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«Avete fumo che suona nel vostro paese?» fu la domanda che una guida locale pose a Livingstone quando raggiunsero, nel 1855, “Mosi oa tunya” (il fumo suona qui) le possenti cascate dello Zambesi che l’esploratore subito battezzò “Victoria Falls” (cascate Vittoria) in onore della regina britannica.
Gli abitanti locali ne avevano terrore perché pensavano che fosse rifugio di una potente e misteriosa divinità e fu difficile per Livingstone, procurarsi una guida.
Le cascate sono le più vaste al mondo tenendo in considerazione altezza e larghezza: si estendono per 1.700 metri e l’acqua precipita per 108 metri creando nuvole di vapore che si innalzano per centinaia di metri. Il rumore poteva essere percepito, ai tempi di Livingstone (in assenza di inquinamento acustico) anche a 15 km di distanza.

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Le cascate si sono formate tramite la lenta erosione, negli ultimi 100.000 anni, di vene di arenaria incastonate nel duro basalto. Il percorso a zig-zag del fiume, a valle delle cascate, segue le zone di arenaria in erosione formando diverse gole, le principali delle quali sono quelle dalla Prima Gola alla Quinta Gola e la Gola Songwe.

Un ponte in acciaio fu costruito in poco più di un anno sulla seconda gola ad unire quelli che ora sono gli stati Zambia e Zimbabwe tra cui il fiume segna il confine.
Faceva parte del sogno di Cecil Rhodes, uomo d’affari con pochi scrupoli che condizionò in senso imperialista la storia dell’Africa australe, di costruire una ferrovia tra Città del Capo (in Sud Africa) e il Cairo in Egitto.
Non vide mai l’opera compiuta perché morì nel 1902.
Il ponte, in realtà, fu costruito in Inghilterra e trasportato a pezzi via nave al porto di Beira (Mozambico) e poi via ferrovia sino alle cascate.
Considerando la tecnologia di allora e le difficoltà ambientali viene spontaneo paragonare la velocità di costruzione ai tempi biblici che nel nostro paese sono impiegati in analoghe edificazioni.
Il ponte, ad una sola campata, fu inaugurato nel 1905 ed è tutt’ora in uso con restrizioni di peso e velocità per treni e veicoli.
È lungo quasi 200 metri e la campata è di 156 metri.
Quello che più impressiona è l’altezza: quasi 130 metri dal fondo della gola
. Anche chi non soffre di vertigini prova un certo turbamento.
La costruzione del ponte portò anche ad un flusso di turisti che è divenuto sempre più imponente a parte il periodo delle guerriglie per l’indipendenza della Rhodesia del Sud (ora Zimbabwe) tra la fine degli anni ’60 ed il 1980.
Ora le cascate sono una delle mete più gettonate in Africa.

Giunsi a Vic Falls, come ora vengono comunemente chiamate, nel 1995 (allora risiedevo in Sud Africa) con nove amici con i quali avevo attraversato il Kalahari e visitato l’Okavango in Botswana; viaggio avventuroso di cui un giorno narrerò.

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Tutto a Vic Falls emoziona: l’imponenza delle cascate, il rumore, l’odore di vegetazione umida, le gole con pareti a picco su acqua turbolenta.
Per chi ama emozioni più forti del solo spettacolo della natura (e credetemi è già abbastanza) è possibile partecipare alle discese in gommone (rafting) lungo le gole del fiume o buttarsi legati dal ponte (bungee jumping).

Mi ricordo che alcune compagnie offrivano rafting e lo pubblicizzavano con filmati proiettati da televisori in vetrina.
In questi filmati si vedevano gommoni travolti dalle onde e occupanti sbalzati in aria per poi ricadere nelle acque turbolente.
Mi ha stupito la reazione dei turisti ai filmati: mentre i più anziani scuotevano la testa e si dicevano “ma chi glielo fa fare?” i più giovani, desiderosi di produrre litri di adrenalina, erano entusiasti all’idea di finire tra i flutti.
Anche se protetti da caschi e salvagente e nonostante la presenza di personale sul fondo della gola è un’esperienza pericolosa.

Altro svago da emozioni è il bungee jumping. Dal ponte ci si getta per più di 100 metri legati, alle caviglie, a corde elastiche.
Gli incidenti sono veramente rari, ma vi è un certo margine di rischio: pochi anni fa una turista piombò nel fiume per la rottura dei cavi ma miracolosamente si salvò con minimi danni.

Un paio degli amici che erano con me decisero di provare queste emozioni e a lungo insistettero perché anch’io, noto per lo spirito avventuroso, ne godessi.
«Cari miei», risposi, «durante i miei anni africani ho provato diverse emozioni che non mi ero cercato e che avrei preferito evitare, non vedo perché devo cercarmene altre».
Ricordo che colui che si gettò dal ponte quando fu recuperato era così ingolfato di adrenalina che voleva subito ributtarsi.

Torniamo alle cascate. Noi percorremmo il sentiero che le costeggia in Zimbabwe. Sono passati molti anni ma il ricordo, specie se guardo foto e filmati che feci, è sempre vivido.
Livingstone, innanzi allo spettacolo che gli si presentò innanzi, mai visto prima da occhi europei, fu talmente affascinato che scrisse: «… ma scene così belle devono essere state intensamente guardate dagli angeli in volo».
Pur non uso al lirismo di Livingstone, devo ammettere che l’emozione provata è stata una delle più intense paragonabile alla visione dell’eruzione vulcanica in Congo, di cui ho già narrato, o delle cascate del Nilo Blu in Etiopia.

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Un saluto ai miei compagni di viaggio e soprattutto a Leo e Silvio: è stata un’esperienza indimenticabile.

testo e foto di Mauro Almaviva

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6 Responses to “Avete fumo che suona nel vostro paese? Ovvero: Livingstone, le cascate Vittoria ed io”

  1. Elisa Prato scrive:

    Mauro Mauro! ancora ancora emozioni, ancora cose belle della natura!

  2. Mauro scrive:

    sarei felice se chi mi legge fosse invogliato a visitare quei luoghi magici che ho avuto la fortuna di vedere durante la mia vita africana.

  3. Maria Cristina Giongo scrive:

    Dai, facciamo un viaggio scolastico noi del Cofanetto magico! Tutti insieme! E Mauro ci fa da guida!

  4. Silvio scrive:

    Carissimo Mauro
    Bei ricordi, un viaggio indimmenticabile

    Silvio

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