…neve che mi cadi dentro,
sciogliti al calore del mio amore
e fai trascinar via lontano il mio cuore
dalla piena d’un torrente in fuga,
perchè non voglio più soffrire…
Immortal
Ne è passata di acqua sotto i ponti dal rinvenimento di questo messaggio sul lunotto della macchina di Francesco. Dopo tanto mistero e situazioni ambigue, Immortal ha finalmente un nome e cognome: Giana Proietti. Una donna, che attraverso la ricerca del carnefice di sua sorella, atrocemente uccisa, rivendica giustizia e dignità di genere. Questo episodio che esce proprio oggi, “Festa della donna”, vuole essere un tributo per tutte le donne, al loro coraggio, al ruolo preponderante che esse svolgono nella società ed in seno alla famiglia. AUGURI.
Buona lettura!
Clicca qui per l’episodio precedente.
Empatizzando
I nostri sguardi s’incontrarono ancora una volta, come era capitato spesso durante l’incontro. Gli occhi di Giana erano velati di tristezza. Abbassò lo sguardo come volersi estraniare dal presente per inseguire pensieri lontani. Provai tenerezza nel vederla così, ma non sapevo cosa dirle. Monica era diventata silenziosa, aveva perso la sua baldanza. Evidentemente, la reazione di Giana aveva toccato la sua sensibilità di donna ed il senso di solidarietà femminile.
–Vedrai che tutto andrà bene!– dissi rompendo il silenzio. Ma non dovevo essere stato molto convincente. Con gli occhi gonfi di lacrime, Giana si alzò lentamente, con garbo.
–Vado alla toilette.– disse.
–Vengo con te.– bisbigliò Monica, seguendola.
Il bar era diventato un via vai di gente, perlopiù impiegati e commercianti in pausa pranzo o semplicemente per un caffè. Approfittai dell’assenza delle due donne per andare a pagare il conto alla cassa. Le attesi già in piedi. –Andiamocene da qui, c’è troppa confusione!– dissi. Si scambiarono un sorriso, raccolsero le loro cose e mi seguirono, continuando a parlottare tra di loro.
Ci incamminammo verso un piccolo parco sede di una multisala cinematografica. Giana e Monica mi si affiancarono prendendomi sottobraccio dai due lati. Mi sentivo rincuorato per la ritrovata allegria. Il mio orgoglio maschile aveva raggiunto l’apice della vanità.
La cosa non doveva essere sfuggita a Monica che mi sorprese con uno dei suoi pizzicotti vessatori, ridendo.
–E dai! Smettila!– protestai.
–Guardalo lui come si pavoneggia!– disse. Risero entrambe per il mio imbarazzo. –Al bar non ti abbiamo detto niente per farti fare bella figura, ma ora devi rispettare i patti!– soggiunse Monica.
–E sì!– intervenne Giana. –Monica ha proprio ragione, bisogna dividere per tre.–
–Mi dispiace deludervi ma il cassiere, che è un mio amico, mi ha detto che uno della mia età che va in giro con due belle… figliuole come voi, non deve pagare! Per sdebitarvi potreste comprarmi un bel gelatino, come si fa con i ragazzini viziati.– risata di circostanza.
Il sole era al massimo del suo splendore, faceva caldo ed i merli si rincorrevano già tra le siepi. Ci sedemmo su una panchina adiacente ad un laghetto.
Giana ritornò subito sull’argomento.
–Eravamo una comitiva affiatata. Discoteca, mare, piscina, sciate al Terminillo e Campo Felice. Non ci facevamo mancare nulla. Ci sopportavamo amorevolmente. Nessuno di noi era senza difetti, ma nemmeno senza pregi. I difetti ci caratterizzavano con appellativi più o meno simpatici, mentre i pregi facevano sì che eventuali incomprensioni venissero superate sul nascere. Insomma, ognuno, poteva essere consigliere o probiviro a secondo dei casi. Tutto andava per il verso giusto. L’armonia regnava sovrana finché Gemma, mia sorella, una sera d’estate non conobbe Raffaele in un locale di salsa e merengue all’aperto. Lui era un tipo esuberante, presuntuoso senza limiti, di quelli cui piace mettersi subito in evidenza. Si faceva chiamare “Den”, parafrasando una pubblicità in voga, in quanto riteneva di non dover mai chiedere nulla ad una donna perché tutto gli era dovuto. Iniziarono a frequentarsi assiduamente. Den venne accettato nella comitiva con beneficio d’inventario. Tra di noi, voglio dire tra me e lui, ci fu subito antipatia, almeno da parte mia. Non sopportavo la sua sicumera. Sapeva sempre tutto lui e non voleva essere contraddetto, specie dalle donne ed io lo facevo spesso. Questo gli dava molto fastidio. In mia presenza abbassava i toni, si ridimensionava, cercava di essermi simpatico, senza riuscirci. Lo sentivo falso, finto, ostile. Avevo manifestato le mie perplessità a Gemma, che viveva con me. Le avevo consigliato di aspettare prima di impegnarsi a fondo con lui. Den, non riuscendo ad entrare nelle mie grazie e sapendomi ostile, iniziò a mettermi in cattiva luce con mia sorella. Le ripeteva continuamente che ero gelosa di lei e che ero invidiosa. Aveva persino insinuato che fossi lesbica. Insomma me la stava mettendo contro. Gemma cominciò a rientrare tardi la notte. I nostri rapporti si stavano progressivamente deteriorando. I nostri dialoghi erano ridotti all’essenziale. Anche all’interno della comitiva le cose volgevano al peggio. Da quando era arrivato lui succedeva sempre qualche discussione. Voleva avere sempre ragione e aveva da ridire su tutto e su tutti. Così a poco a poco, chi con una scusa, chi con un’altra, iniziarono le defezioni. La comitiva si stava sfaldando. Le fragorose risate, gli abbracci, i sorrisi, l’armonia, le rimpatriate, divennero presto solo dei bei ricordi. Quel bastardo era riuscito nel suo intendo: fare terra bruciata intorno a mia sorella.
Non ero gelosa di Gemma, ero protettiva nei suoi confronti e preoccupata per lei. In fin dei conti le aveva fatto e continuavo a farle da madre. Non la riconoscevo più. La Gemma solare, allegra, espansiva, era diventata quasi un’estranea per me. Una sera, mentre si stava preparando per uscire, mi lamentai del suo comportamento. Le ricordai che in fin dei conti ero sua sorella e che non era giusto che venissi tenuta all’oscuro della sua vita. “Sono fatti che non ti riguardano!” mi disse stizzita. “La verità, cara Gemma, è che quello stronzo ti sta rovinando l’esistenza!” le risposi irritata–
–E lei come reagì?– chiese Monica.
–Mi zittì dicendomi che aveva ragione lui quando affermava che io ero invidiosa e gelosa. Non le dissi più nulla. Ormai la situazione mi era sfuggita di mano, non potevo fare nulla per dirimerla. Ero sola, la comitiva non esisteva più. I pochi amici rimasti non erano propensi a condividere le mie preoccupazioni. Cambiavano subito discorso o riattaccavano con una scusa. Insomma, non volevano immischiarsi in questioni che tutto sommato non li riguardavano. Disarmata davanti all’evidenza dei fatti, mi chiusi in me stessa. Con mia sorella, vivevamo separate in casa. Ci evitavamo a vicenda, mangiavamo persino in orari diversi per non incontrarci in cucina. Avevo appeso nel corridoio una specie di vademecum che regolava la nostra convivenza: comportamenti per l’igiene, doveri da assolvere ed orari da rispettare.
Tra tutti gli amici della disciolta comitiva solo con Serena avevo mantenuto i contatti. Era la mia ancora di salvezza, il tramite per restare in contatto con mia sorella. Serena frequentava Mimmo, detto “er Majella” per la sua origine abruzzese. Non so cosa ci fosse di preciso tra di loro, ma spesso uscivano insieme e si vedevano con Gemma e il bastardo. I due uomini erano diventati amici. Mimmo aveva lasciato l’impiego in un Call Center per seguire Den, che si autoproclamava pomposamente, General Manager & Broker di un fantomatico Trading Online Group. In realtà il TOG come lo chiamavano loro, altro non era che una cricca di sfaccendati, manovrata da Den. La loro attività consisteva nel convincere piccoli commercianti, risparmiatori e, perlopiù, pensionati, ad investire in borsa. Quando andava bene incassavano subito il 50% del guadagno, quando invece andava male, cosa che succedeva spesso, a rimetterci erano solo gli investitori, molti dei quali stufi di aspettare i guadagni che non arrivavano mai, disinvestivano, accettando la perdita di ingenti somme, gravate anche da pretestuose spese di gestione. Per reperire nuovi investitori, venivano organizzati frequenti incontri in una pizzeria di Casalpalocco, per selezionare rampanti consulenti finanziari. Per i nuovi adepti, il sogno di arricchimento facile e senza rischio svaniva con l’esaurirsi delle scarse risorse economiche di amici e parenti stretti.–
Giana aveva accettato di buon grado il trasferimento a Montefiascone. Lo aveva considerato come un dono della provvidenza.
“Meglio così, ora mia sorella dovrà imparare a cavarsela da sola!” aveva detto, con malcelata preoccupazione, a Serena, la quale l’aveva rassicurata sul fatto che avrebbe continuato a tenerla informata su tutto.
Aveva così saputo che tra Den e Gemma le cose erano cominciate ad andare male. Dopo la sua partenza, Den era diventato prepotente e possessivo, non le lasciava più tregua. Voleva che Gemma lasciasse il lavoro di commessa in una gioielleria per dedicarsi solo a lui. L’assillava continuamente con le sue fisime. –Non hai bisogno di stare in quella fogna per sorridere come una scema a tutti. Tu devi pensare solo a me, hai capito?– Giana, conoscendo il carattere di Gemma, cominciò a sperare che prima o poi tra loro tutto sarebbe finita, ma anche a temere le conseguenze che ne sarebbero derivate.
Monica seguiva attentamente il racconto di Gemma. La interrompeva spesso per chiarimenti. Io, le seguivo ormai estraniato, come un distratto spettatore.
Ero sufficientemente informato sul fattaccio. Il corpo di Gemma era stato individuato in fondo ad una scarpata dagli addetti alla manutenzione, sull’autostrada A24. Diciotto ferite di pugnale a doppio taglio avevano martoriato il suo corpo, all’addome, sul pube, alle spalle. Aveva gli slip strappati, ma non erano stati rilevati segni di violenza sessuale.
Ormai le mie cellule cerebrali si erano messe in movimento. Stavano già elaborando svariate ipotesi di come fosse maturato l’insano proposito ed il successivo triste epilogo. Ero entrato in empatia con Giana, con i suoi pensieri, col suo conflitto interiore, con i suoi tormenti. Provavo disagio nel saperla sofferente al continuo rimorso e forse rabbia con se stessa, per non aver fatto tutto il necessario per salvare sua sorella. Avrebbe dovuto proteggerla e non abbandonarla a se stessa, in balia di un individuo sul quale aveva provato ripugnanza e diffidenza fin da subito.
Non ascoltavo più le parole di Giana. Vedevo solo le sue labbra muoversi e Monica annuire con la testa.
Valentino Di Persio
CHI SONO
Continua il prossimo mese.
Mi intrometto anch’io in questa bella storia per augurare a tutte le amiche che ci leggono e a tutte le donne del mondo…..BUONA FESTA DELLA DONNA! La..Direttrice! Maria Cristina Giongo
Proibita la riproduzione del testo senza citare autore e fonte di informazione.
Alcune foto sono state prelevate dal web tramite un programma di download automatico e non si è a conoscenza se sono coperte da copyright o meno; se così fosse i legittimi proprietari dei diritti di copyright possono richiederne la cancellazione che verrà immediatamente effettuata.
No part of this publication may be reproduced or transmitted, in any form or any means, without prior permission of the publisher and without indicating the source.
Tags: festa della donna, immortal, la giustiziera, valentino di persio
Meraviglioso come sempre, Caro Valentino ! E’ talmente coinvolgente il racconto….che ha ipnotizzato anche me 😉 Un abbraccio, Chry.
Grazie Christian,sono contento che la storia continua a piacerti anche nel suo nuovo corso. Ti assicuro che non è stato facile il cambio di paradigma.Al prossimo episodio. Cordialità Valentino
Grazie mille per gli auguri Valentino e Maria Cristina
Molto bello questo episodio intimo e tragicamente verosimile purtroppo.
Alla prossima 😉
Grazie a te Nenè. E’ sempre troppo poco quello che si fa in favore delle donne. Purtroppo la violenza su di loro non accenna a fermarsi. E’ diventata ormai una storia di ordinaria quotidiana follia. Il peggio è che non s’intravede una soluzione, almeno nell’immediato. a questo dramma del nostro tempo. Mi chiedo cosa stia succedendo a noi uomini e quali demoni agitano le menti di certuni.