Purtroppo il fenomeno del bullismo sta diventando sempre più imperante, prepotente, pericoloso.
Una volta si chiamava “fare i dispetti”; faceva parte di quel lato un poco “cattivo” della personalità infantile che, in crescita, ha bisogno di scaricare la sua aggressività sugli altri. In questo caso purtroppo “gli altri” sono quelli più facili da colpire, in quanto ritenuti deboli, introversi. O forse semplicementi troppo sensibili, per cui, proprio per la loro sensibilità fanno pensare siano anche i più fragili. Nella società odierna i bulli sono persone crudeli, violente, frustrate. Soprattutto vigliacche, in quanto scaricano le loro anormali tensioni su chi non ha la forza di reagire; meglio se in gruppo. Marco Capriotti ci ha raccontato una storia vera che ha voluto porre sotto forma di racconto per renderla più “vivibile”. Come sapete Marco è giovanissimo e…scrive benissimo! Anche in questa storia che analizza un fenomeno tanto attuale, ha aggiunto qualche cosa in più; il bullismo nei confronti degli adulti. Infatti questo male non colpisce solo le piccole anime in formazione ma anche gli adulti che diventano oggetto di vessazioni e malvagità imperdonabili.
Maria Cristina Giongo
CHI SONO
La Francia porta il bullismo in uno spot parlando agli adulti. Cliccare sulla riga rossa per vedere il video.
L’acqua, gelida, impregnava ancora il suo volto: la vedeva riflessa nello specchio mentre cadeva a goccioline sul marmo del lavabo. E mentre si guardava non poteva fare a meno di pensare se meritasse davvero la promozione che aveva ricevuto, con tanto di nuovo ufficio con vista sul parco. Forse aveva davvero fatto un buon lavoro, in fin dei conti… ma non ne era così sicuro; non era mai stato sicuro di nulla, soprattutto del suo valore. E lì, davanti allo specchio, mentre si asciugava il volto, le parole e gli sguardi sprezzanti dei suoi colleghi sembravano tormentarlo ancora di più: l’acqua non riusciva a lavarle via, erano penetrate troppo a fondo, e come acqua stagnante contaminavano la sua mente.
Perché aveva permesso tutto questo?? Si chiedeva torcendosi le mani… perché aveva permesso loro di fargli del male? Che fine avevano fatto le promesse che aveva fatto a sé stesso: non aveva giurato che non avrebbe mai più permesso a qualcuno di fargli del male?? Quelle promesse erano capitolate, purtroppo, insieme alle sue difese , e ora era di nuovo nudo, inerme dinanzi al gelo scaturito dalle loro bocche. Forse, la notizia della promozione lo aveva scosso più del dovuto, rendendolo più vulnerabile. Era molto importante, in fondo. Una cosa di cui andar fieri. Ma era anche del tutto inaspettata: mai avrebbe immaginato di ricevere una promozione. Tant’è che quando il suo datore di lavoro lo convocò in ufficio per comunicargli la buona notizia non provò solo somma gratitudine e gioia, ma anche una fastidiosa sensazione d’ansia: temeva che qualcosa potesse ombreggiare la sua riuscita, la sua effimera vittoria; temeva che qualcuno potesse rimuovere la patina dorata con cui era stato ricoperto, facendolo sprofondare nella vergogna.
Nonostante fosse ormai passata una settimana, dall’incontro col suo capo, quell’angosciante sensazione continuava a braccarlo e durante una delle sue solite “passeggiate” mattutine, lungo gli interminabili corridoi dell’ufficio in cui lavorava, i suoi timori d’un tratto si concretizzarono: mentre aspettava di prendere il caffè dalla macchinetta, un gruppo di colleghi aveva iniziato a guardarlo e ad indicarlo parlottando tra loro; stavano parlando di lui e dalle parole che era riuscito a captare lo stavano deridendo: fallito e incompetente non erano di certo complimenti. Senza rendersi perfettamente conto di ciò che faceva si era subito diretto verso il bagno, cercando di allontanare le lacrime che provavano ad uscire. Aveva bisogno di riflettere e stare solo, non voleva lo vedessero così. In quel momento si sentiva perso, circondato da nemici che in sordina tessevano una rete di bugie e ingiurie contro di lui. E non poteva fare nulla, se non sopportare. Ma era così stanco di dover provare al mondo di non essere un completo fallito, era così stanco di dover cercare ad ogni costo di piacere agli altri.
Forse, pensava, quello che lo aveva ferito davvero non erano tanto le parole e i sorrisi, ma l’indifferenza che faceva da corollario alla sua “vittoria”: dopotutto, nessuno si era congratulato con sincerità, i complimenti sembravano di circostanza, nessuno gli aveva battuto la mano sulla spalla, nessuno aveva proposto di festeggiare la buona notizia, la sua vita sembrava non interessare a nessuno, se non, a quanto pare, ai suoi detrattori che non vedevano l’ora di vederlo fallire. Assuefatto dalle sue paranoie, aveva quasi dimenticato di essere in un bagno, ci vollero le voci – sempre più forti- di alcuni impiegati a farlo “destare”. Temendo intrusioni – non aveva voglia di farsi vedere in quello stato- scattò verso la prima cabina che vide, chiuse la porta a chiave e si sedette sulla tazza. “che sensazione strana..” pensava, già, e non era nemmeno nuova. Quel luogo, quelle sensazione, erano tremendamente famigliari per lui, e mentre si trovava lì, in quello spazietto angusto, i ricordi tornarono prepotentemente a farsi sentire. Come aveva potuto dimenticare? Come aveva potuto insabbiare i suoi ricordi?
Ora, finalmente, la nebbia si era dipanata e gli era tutto chiaro: sì, si era già sentito così! Quelle ansie e problemi ,infatti, richiamavano uno dei periodi più nefasti della sua vita: il periodo in cui frequentava le scuole medie. Un nuovo magone si aggiunse a quello vecchio: gli sembrava di rivivere eternamente le stesse storie, c’erano sempre persone disposte a tentare di storpiare le sue piccole gioie, al lavoro come a scuola. Il bagno in cui si trovava gli appariva come era una metafora: simboleggiava la sua prigionia, il suo voler fuggire a tutti i costi. Non aveva mai davvero affronto quelle persone in fin dei conti. Avrebbe voluto piangere, ma non ci riusciva, tanto era forte il dolore. Nella sua testa si fondevano le immagini ghignati dei suoi colleghi con quelle dei bulli che lo tormentavano a scuola. “sei un rammollito” dicevano, “ non servi a nulla, se tu morissi non importerebbe a nessuno”, li ricordava bene.. e sì sentiva ancora così: un dodicenne impaurito in attesa di qualcosa; qualcosa di orribile: Immaginava il giorno in cui avrebbe fallito miseramente, deludendo sé stesso e il suo capo, suscitando l’ilarità di tutti. La mente,ormai, era diventata ostaggio di ricordi e immagini orribili : rivedeva il giorno in cui diversi suoi compagni di classe lanciarono penne e matite nel cestino, il giorno in cui gettarono il suo cappotto nel water, o i loro crudeli insulti. Ma soprattutto ricordava, con chiarezza disarmante, uno dei giorni più infelici della sua adolescenza.
Era quasi l’intervallo, quel giorno di diversi anni prima, e l’insegnante stava finendo di spiegare.
Lui era seduto al suo banco, in attesa; doveva andare in bagno ma lei glielo aveva impedito: “i bambini normali vanno in bagno a ricreazione” disse stoicamente. Forse non si rese conto di averlo ferito, credeva di aver detto una cosa giusta, magari per spronarlo, ma purtroppo non andò così. Quel “normale” era così crudele, alienante.. lo faceva sentire ancora più escluso. Forse fu per questo che la accontentò – andando al bagno nell’orario dei bambini “normali”- per cercare approvazione, per costringerla a rimangiarsi ciò che aveva detto. Timidamente, poco dopo il suono della campanella (e con una certa rapidità) riuscì ad andare in bagno mentre era ancora vuoto. Si chiuse dentro e sperò di riuscire ad andarsene il più presto possibile. Il bagno però si riempì in fretta e l’ansia si insinuò sempre di più nel suo petto: non riusciva ad urinare, e più il rumore aumentava più la sua vescica sembrava irrimediabilmente bloccata. “ allora hai fatto??! chiesero più voci,con tono canzonatorio; non sentendo risposte, iniziarono a tempestare la porta di pugni e alla fine si aprì. Una cacofonia di insulti e risate riempì le sue orecchie, si sentiva così umiliato, sentiva le lacrime solcargli le guance, ma a nessuno di loro interessava, il loro compito era gridare al mondo quanto lui fosse ridicolo, patetico, mentre loro era più forti, migliori di lui.
Quelle lacrime sembravano dar loro una gran gioia: si nutrivano della disperazione altrui per sentirsi superiori agli altri. Si mise le mani sulla faccia, come per nascondersi, e corse via, in classe. Piangeva, ma l’insegnante nemmeno lo considerava, anzi sembrava quasi lo stesse guardando con sommo disprezzo: i suoi occhi – piccoli e freddi- dicevano chiaramente che quello era il prezzo da pagare per essere deboli e sensibili, e a lui non restava che rassegnarsi. Era incredibile il potere evocativo dei ricordi: potevano risvegliare emozioni incredibilmente intense, anche dopo così tanti anni. In quel momento, si sentiva solo e spaurito come quel giorno. Tutto per colpa di una manciata di sorrisi e borbottii vaghi, anche se in realtà quella era solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: si era sempre sentito inferiore e deriso, nonostante lui desse sempre il massimo sul posto di lavoro. E ora che le sue responsabilità erano aumentate temeva di fallire e di finire di nuovo alla gogna, come in passato. Stringeva le sue mani attorno al volto, tentando di sopprimere la nebulosa di pensieri che affollava la sua mente: sono davvero un fallimento??
Più ci pensava più si rendeva conto di quanto fosse fragile l’essere umano: siamo fatti di vetro, ma non basta ricoprirsi di cera per nascondere la nostra fragilità, siamo di vetro e basta poco a spezzarci, a ridurci in pezzi. Non possiamo nascondere la nostra natura, essa viene fuori non appena la cera si scioglie, scaldata dalla cocente irruenza delle nostre emozioni. Come possiamo accettarla allora? Convivere con la nostra preziosa e fragile essenza?? Forse, pensava, il trucco sta nel trasformare le nostre debolezze in virtù. Non doveva più nascondere la sua fragilità, vergognarsene, ma trasformarla in un’arma. Lui, che aveva sofferto così tanto per mano di persone affamate di lacrime e dispiacerti, poteva comprendere meglio i suoi colleghi e sottoposti, e magari anche aiutarli. Lì, in quel bagno, dialogava di nuovo con sé stesso, ascoltava finalmente la sua sua voce e forse, nonostante lo smarrimento sarebbe riuscito a venirne fuori. Non poteva permettere che la negatività trionfasse, che l’avessero vinta loro: lui qualcosa valeva, altrimenti non lo avrebbero promosso, il suo capo aveva fiducia in lui, dopotutto. La soluzione non gli sembrava più immersa nella bruma, ma la vedeva chiaramente, fulgida come non mai: bastava riuscire a “ girare la chiave” e uscire dal bagno: uscire dalla prigione, uscire dal proprio “porto sicuro” per cercare di aiutare sé stesso e magari anche gli altri. Doveva evadere dalle proprie paranoie. Non doveva più avere paura di essere di vetro, di lasciar vedere la fragilità – ma anche lo splendore- della sua anima. Poteva dare tanto, ed era arrivato il momento di osare. Era difficile, certo, i sorrisi e le cattiverie restavano ma poteva ignorarle. Ora, non gli restava che girare quella chiave e sbarazzarsi di quei muri opprimenti. Sapeva di averne la forza, doveva solo osare…
Marco Capriotti
MARCO CAPRIOTTI:
ha 24 anni, è uno studente di scienze politiche e vive nelle Marche, a Grottammare. Ama i gatti, il cielo stellato, la musica e la letteratura.
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Tags: bullismo, cattiveria, malavagità, marco capriotti, maria cristina giongo, violenza
La presunzione, la superbia e l’arroganza, sono figlie dell’ignoranza ! Tre “paroline” per racchiudere la pochezza dei colleghi descritti nel racconto. Aggiungo che la gelosia è una brutta malattia. Il tutto forma un masso talmente pesante da sostenere, che una persona buona, discreta, anche fragile, può esserne schiacciata. Un adulto, può riuscire a trovare in sè la forza di ribellarsi e il coraggio di reagire. Per un bambino, un adolescente, un ragazzo, è decisamente più difficile. Ancora non hanno completato il carattere. Sono confusi, non riescono a dare un senso a quell’accanimento nei loro confronti. Sanno di non aver fatto nulla di male, allora perché? Purtroppo il bullismo (come lo chiamiamo ora), è sempre esistito; erano le anime perse, ragazzini soli, abbandonati a sè stessi, con storie difficili alle spalle, famiglie inesistenti…
Attualmente il bullismo ha oltrepassato ogni limite, servono pene severe.
Brutto da dirsi, ma fino ad ora, il lassismo l’ha fatta da padrone….
Bravo Marco, hai scritto un “pezzo” fantastico, complimenti !
Alla prossima… (spero presto).
Grazie Claudia, sono contento che il racconto ti sia piaciuto! Comunque, hai ragione: purtroppo questo problema sta diventando sempre più difficile da contrastare, e a farne le spese sono soprattutto le persone più sensibili ed indifese ( in modo particolare quando si trovano in età scolare). Spero che con il tempo la situazione possa migliorare…
P.S: sto già lavorando al prossimo articolo quindi rivedrai presto un mio articolo ?